Spiritualità

Innatalità e immortalità secondo Rudolf Steiner

di Francesco Giorgi

Rudolf Steiner Nella prefazione alla terza edizione (1910) della sua Teosofia (vale a dire, novantacinque anni fa) Steiner ha scritto: “La conoscenza soprasensibile non è solo qualcosa per i nostri bisogni teoretici, ma lo è pure per la vera prassi della vita. Appunto per il carattere della vita spirituale, la conoscenza spirituale è un campo indispensabile alla nostra epoca moderna” (1).
Ciò era vero ieri e lo è ancor più oggi. Basterebbe a dimostrarlo il fatto che, in rapporto all’aborto o alla ricerca sulle cellule staminali umane tratte dagli embrioni e all’eutanasia o alla pena di morte, ci troviamo di fatto alle prese con scelte che dovrebbero discendere da una oggettiva (scientifica) conoscenza delle realtà della vita e della morte.

Da un tipo di conoscenza che la scienza naturale non è però in grado di offrire, e che viene perciò surrogata con le più soggettive e confuse opinioni. Non è difficile tuttora constatare, ad esempio, il paradosso di una situazione nella quale le persone “di sinistra” si mostrano di solito favorevoli all’aborto e contrarie alla pena di morte, mentre quelle “di destra” si mostrano di solito contrarie all’aborto e favorevoli alla pena di morte.
Quando non viene surrogata dalle opinioni, tale conoscenza viene allora surrogata con un “credo”: ovvero, con la “fede” nell’opinione di qualche autorità cui è stato delegato l’onere di pensare.
Coloro che hanno delegato quest’onere alla Chiesa cattolica sono ad esempio convinti che “Dio crea ogni singola anima dal nulla, congiungendola contemporaneamente alle cellule dei genitori unite dall’atto generativo, così da formare quell’unità che è l’uomo” (2).
Costoro, dunque, credendo nell’immortalità, ma non nella innatalità (che considerano anzi “eretica”), difficilmente riconosceranno che è impossibile capire l’immortalità prescindendo dalla innatalità, dal momento che l’immortalità si dà come “innatalità” rispetto a una vita terrena successiva e l’innatalità si dà come “immortalità” rispetto a una vita terrena precedente.
“A questo punto – osserva infatti Steiner – subentra qualcosa al cui proposito ci si accorge bene quanto sia incompleta la conoscenza odierna. Essa per speranza, per fede parla di immortalità. Ma l’immortalità è solo la metà della eternità; è il perdurare dell’istante attuale verso tutta l’eternità. Noi oggi non abbiamo nessuna parola, come invece esisteva in gradi di conoscenza di tempi antichi, che aggiunga all’immortalità l’altra metà dell’eternità: il non esser nati. Infatti l’uomo tanto è immortale quanto “non nato”, cioè mediante la nascita egli passa dal mondo spirituale nell’esistenza fisica così come mediante la morte entra di nuovo dal mondo fisico in un’esistenza spirituale. In questo modo si viene a conoscere la vera essenza spirituale dell’uomo che passa attraverso nascita e morte, e solo allora si è in grado di comprendere l’uomo nel suo complesso” (3).
Ed aggiunge: “ Le entità arimaniche hanno già ottenuto molto in quest’ambito. Infatti, nascendo o venendo accolti nell’esistenza fisica, noi discendiamo da mondi animico-spirituali e ci contorniamo di materia fisica. Tuttavia, essendo la civiltà attuale stata conformata dalla consuetudinarietà delle religioni tradizionali, dalle quali la preesistenza è stata sempre più denunciata come eretica, tale esistenza prenatale nel regno animico-spirituale potrebbe essere dimenticata. Si vuol far cominciare l’uomo con la nascita e il concepimento fisici, aggiungendovi poi solo quel che vi è dopo la morte. Se questa fede nel solo stato del post mortem non fosse mai respinta, se fosse l’unica ad avvincere l’umanità, le entità arimaniche avrebbero vinto” (4).
Chi sia convinto – come insegna appunto la Chiesa cattolica – che “Dio crea ogni singola anima dal nulla”, e faccia perciò “cominciare l’uomo – come dice Steiner – con la nascita e il concepimento fisici”, è dunque un “creazionista” che in tanto si rifugia nel creazionismo spiritualistico in quanto è incapace di affiancare, alla concezione evoluzionistica della natura, una concezione evoluzionistica dell’anima, integrando la prima con la seconda, grazie alla scienza dello spirito.
Al riduttivismo dell’evoluzionismo materialistico, che pretenderebbe, negando lo spirito, di spiegare l’evoluzione dell’anima con quella del corpo, costui non oppone dunque una concezione che, affermando lo spirito, dia ragione, a due livelli e in due modi diversi, dell’evoluzione del corpo e di quella dell’anima, bensì pone (proietta) lo spirito in Dio (nella trascendenza) e Gli affida poi il compito di creare ogni volta, e dal “nulla”, la singola anima umana.
“Creazione – spiegano ancora Rahner e Vorgrimler – significa l’inizio di ciò che prima non era, l’originario inserimento di un ente nella sua evoluzione” (5).
L’insostenibilità di questa creazione dal “nulla”, o “di ciò che prima non era”, è stata già messa in luce e denunciata da Emanuele Severino, e non staremo qui dunque a discuterla (i tre professori incaricati dalla Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede di esaminare la sua posizione, riferiscono appunto che, per Severino, “impossibile ed assurda è la creazione ex nihilo, ossia il cominciamento nell’essere di qualche cosa, il “passaggio” dal non essere all’essere”) (6).
Vorremmo ciò nonostante osservare che è invero più plausibile che Dio abbia creato l’uomo, non dal “nulla”, ma da “Sé”, e che quindi l’”essere” – come sostiene Severino – discenda dall’essere, e non dal non-essere. Non per nulla, Steiner propone una concezione “emanazionistica” (mediata dalle Gerarchie spirituali), e non “creazionistica”, sebbene la “emanazione”, in quanto assimilata al “panteismo”, sia stata condannata dal concilio Vaticano I (7).
Ma lasciamo stare. Proviamo a occuparci, piuttosto, del cosiddetto ”inserimento di un ente nella sua evoluzione”. Che cosa si deve intendere infatti per “ente”? Un Io, un’essenza, un’entità spirituale, o altro? E l’inserimento di questo “ente” nella sua evoluzione è limitato al tempo che va dalla nascita alla morte, o trascende questi due limiti naturali?
“E’ necessario partire dal principio che Dio – affermano sempre Rahner e Vorgrimler – con la creazione pone la creatura nella possibilità di autoperfezionarsi e gliene dà le condizioni necessarie, in modo che in linea di massima non si deve ammettere che Dio crei ciò che può conseguire invece tramite l’evoluzione immanente della creatura” (8).
D’accordo, ma tra le “condizioni necessarie” per l’“autoperfezionamento” non rientrano forse lo spazio e il tempo? Ed è allora plausibile che un “ente”, indipendente – per definizione – dal tempo e dallo spazio, e a questi sovraordinato, sia in grado di “autoperfezionarsi” o di “divenire – per dirla con Nietzsche – ciò che è”, nello spazio e nel tempo di una sola vita terrena?
La verità è che questo “ente” (l’Io) occorrerebbe conoscerlo (sperimentarlo), e non limitarsi a nominarlo. Solo così se ne riconoscerebbe infatti la natura e, in particolare, la “figura” o la “fisionomia”.
Osserva in proposito Steiner: “Come la specie, in senso fisico, risulta comprensibile solo se si considera condizionata dall’ereditarietà, così anche l’entità spirituale può venir compresa soltanto attraverso una analoga ereditarietà spirituale. Posseggo la mia figura umana fisica perché discendo da antenati umani. Donde traggo quello che si manifesta nella mia biografia? Come uomo fisico, ripeto la figura dei miei antenati. Che cosa ripeto come uomo spirituale? (…) Come uomo fisico, discendo da altri uomini fisici, poiché ho la stessa figura dell’intera specie umana. Le qualità della specie, posso dunque, entro la specie, averle acquisite per eredità. Come essere spirituale invece, ho la mia propria figura, come ho la mia propria biografia. Questa figura non posso quindi averla se non da me stesso. E poiché sono entrato nel mondo non con attitudini animiche vaghe, ma precise, e il decorso della mia vita, quale si esprime nella mia biografia, è determinato da quelle attitudini, il mio lavoro su me stesso non può essere cominciato con la nascita. Come uomo spirituale, devo essere esistito prima della nascita. Nei miei antenati non sono certamente esistito, poiché, quali uomini spirituali, essi sono diversi da me. La mia biografia non è spiegabile con la loro. Come essere spirituale devo, anzi, ripeterne un altro la cui biografia spieghi la mia” (9).
Dal punto di vista scientifico-spirituale, il corso di una vita umana fra nascita e morte poggia dunque su tre elementi: “Il corpo soggiace alla legge dell’ereditarietà; l’anima soggiace al destino che si è creato. Questo destino si chiama, con un’antica espressione, il Karma. E lo spirito sta sotto la legge della reincarnazione, delle ripetute vite terrene” (10).
Ben si capisce, in questa luce, quanto sia ingenuo il domandarsi – come oggi si fa – se l’embrione sia o non sia un essere umano, poiché tra l’essere umano (l’”ente” o l’Io) e l’embrione vige un rapporto che ricorda molto da vicino quello vigente tra l’artista e la materia della sua opera.
Come è vero, infatti, che la statua – poniamo – di Mosè deriva (dal punto di vista materiale) dal marmo, così è vero che la stessa deriva (dal punto di vista spirituale) da Michelangelo o, per meglio dire, da una sua idea: da un’idea (un’“essenza” o un “ente”) che penetra, mediante il tempo, nello spazio per presentarsi in ultimo ai sensi quale realtà sensibile o “cosa” (quale statua).
Di che cosa si preoccupa però uno scultore prima di cominciare a modellare la sua opera? Di reperire una materia adatta a ciò che vuole creare. In modo analogo, l’Io, ben prima del concepimento, si preoccupa di scegliere i genitori in grado di fornirgli la corporeità più adatta al proprio destino. “Molto prima di entrare nell’esistenza fisica, – ricorda appunto Steiner – un uomo è già in un legame misterioso con tutti i suoi antenati” (11).
Una volta trovati e avvicinati i genitori adatti, l’Io del nascituro attende che questi, grazie al concepimento, gli mettano amorevolmente a disposizione la sostanza necessaria alla sua incarnazione.
Scrive al riguardo Thomas J.Weihs: “L’embriogenesi umana è vista oggi in tre fasi. La prima fase copre circa le prime tre settimane e comprende lo sviluppo delle membrane embrionali dell’uovo fecondato, senza che durante questo periodo emerga alcuna forma umana riconoscibile. La seconda fase, che dura quaranta giorni, fino alla fine del secondo mese, è quella embrionale vera e propria, durante la quale l’embrione sviluppa gradualmente la sua forma umana, con testa, tronco, arti e tutti i suoi organi, sebbene sia solo più lungo di un pollice (2,54 cm.). La terza e ultima fase, che copre i rimanenti sette mesi, fino al parto, la fase fetale, è soprattutto una fase di crescita e di ulteriore differenziazione” (12).
Durante la prima fase, viene dunque preparata e messa a disposizione dell’Io del nascituro la materia vivente e indifferenziata di cui ha bisogno per incarnarsi.
Durante la seconda, tale Io prende invece a elaborare indirettamente l’embrione per trasformarlo in un feto; precisa infatti Weihs: “L’effusa, spirituale Gestalt umana che, al momento del concepimento, si unisce con il germe spirituale nell’uovo, nella seconda fase embrionale evolve nella effettiva forma umana” (13).
Nel corso di questa fase, l’Io (il “germe spirituale”) del nascituro si unisce dunque, nell’uovo, alla Gestalt umana: ovvero, a quella forma o specie umana che sempre l’Io, durante la terza e ultima fase (fetale), ma anche nel corso dei primi sette anni dopo la nascita (fino al cambio dei denti) provvederà direttamente e incessantemente a sviluppare, differenziare e individualizzare. “Con il settimo anno – spiega infatti Steiner – è concluso il processo formativo. Quello che si verifica in seguito è soltanto un ingrandirsi di ciò che, in relazione alla forma, è già disposto” (14).
Ci sarebbe ancora molto da dire, ma vogliamo fermarci qui, sperando di essere già riusciti a fare un po’ di luce su questioni che, oggi, quanto più ci si compiace di dibattere tanto meno ci si sforza di comprendere.
“A buon intenditor – dice del resto il proverbio – poche parole”; ed è “buon intenditor” chiunque non permetta alla nostra attuale “cultura”, menzognera e parolaia, di soffocare o inaridire il buon senso o il sano sentimento della verità.
Non vorremmo, tuttavia, che quanti si dichiarano favorevoli all’aborto, alla ricerca sugli embrioni o alla loro manipolazione genetica, scoprendo, grazie alla scienza dello spirito, che l’Io (nella sua ordinaria veste di ego) comincia a venire alla luce (insieme all’anima senziente) nel corso del quarto settennio (vale a dire, tra i 21 e i 28 anni), e che quindi il suo portatore, fino a tale età, non è ancora un “uomo” (ma ch’è anzi – come direbbe Severino – un “non-uomo”) (15), ne approfittassero, proponendo magari di estendere ai bambini, agli adolescenti e ai giovani i medesimi trattamenti che si sono finora limitati ad applicare agli embrioni.

Note:

01) R.Steiner: Teosofia – Antroposofica, Milano 1957, p.3;
02) K.Rahner-H.Vorgrimler: Dizionario di Teologia – TEA, Milano 1994, p.158;
03) R.Steiner: Conoscenza antroposofica dell’uomo e medicina – Antroposofica, Milano 1983, pp.149-150;
04) R.Steiner: La responsabilità dell’uomo per l’evoluzione del mondo – Antroposofica, Milano 2002, vol.II, pp.174-175;
05) K.Rahner-H.Vorgrimler: op.cit., p.246;
06) E.Severino: Il mio scontro con la Chiesa – Rizzoli, Milano 2001, p.115;
07) K.Rahner-H.Vorgrimler: op.cit., p.220;
08) ibid., p.246;
09) R.Steiner: Teosofia, p.51;
10) ibid., pp.63-64;
11) R.Steiner: Vita da morte a nuova nascita – Psiche, Torino 1997, p.145;
12) T.J.Weihs: Embriogenesi – Filadelfia, Milano 1991, pp. 67-68;
13) ibid., p.99;
14) R.Steiner: Vita da morte a nuova nascita, p.119;
15) cfr. Uomini e non-uomini, 13 dicembre 2004.

di Francesco Giorgi

Fonte: www.ospi.it

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