Spiritualità

Saturno alchemico

di  Francesca Piombo

 

“La nostra terra nera è terra fertile”

detto alchemico


Saturno è certamente il “pianeta dell’alchimia” perché i suoi simboli accompagnano l’Opera alchemica dall’inizio alla fine, dalla prima fase della Nigredo dove simboleggia la Prima Materia, grezza e da purificare, fino alla creazione della Terza Materia, la Pietra Filosofale, che sancisce l’avvenuta trasformazione dei metalli vili in oro e quindi, a livello psicologico, il compiersi del percorso junghiano d’individuazione dall’Io al Sè. 

Saturno in alchimia è legato alla pietra, al piombo, al sale.

A questo proposito ed iniziando dalla simbologia della pietra, ricordo che nel leggere la biografia di Jung, fui colpita dal passo riportato in “Ricordi, Sogni e Riflessioni” in cui lui ricorda come da bambino gli piacesse identificare se stesso con una pietra, posta in un pendio non lontano dalla sua casa, dove fin da piccolo era solito andare a meditare. Scrive Jung:  “Spesso, quando ero solo, andavo a sedermi su quella pietra e cominciava allora un gioco fantastico, pressappoco di questo genere: Io sto seduto sulla cima di questa pietra e la pietra è sotto, ma anche la pietra potrebbe dire ‘Io’ e pensare: Io sono posata su questo pendio ed egli è seduto su di me. Allora sorgeva il problema: sono io quello che è seduto sulla pietra, o io sono la pietra sulla quale egli siede? Problema ch’era sempre il mio assillo e allora solevo alzarmi chiedendomi chi, ora, fosse qualcosa. La risposta era tutt’altro che chiara e brancolavo nel buio, buio che però stranamente mi affascinava. Non nutrivo dubbi che la pietra non fosse in qualche oscuro rapporto con me e potevo sederci su per ore, affascinato dal suo enigma.”

Per chi non abbia avuto la grazia e la fortuna di conoscere ed amare l’Astrologia, queste parole possono rimanere decisamente oscure, ma per l’astrologo che sa che Saturno è “la pietra”, non solo non lasciano dubbi, ma aprono ad una visione straordinaria del ruolo fondamentale di questo pianeta, perché la pietra diventa il punto di partenza da cui iniziare e a cui ritornare in ogni momento; è Saturno/pietra che dà il via all’intero viaggio di ricerca del Sé, è lui il Guardiano della soglia che si deve aprire per compiere l’individuazione. 

Infatti, se Urano è preposto proprio attraverso il cambiamento a modificare la rotta se ci si sta discostando troppo dal progetto iniziale, Saturno è la stella polare di quella rotta; se Urano spinge a smantellare ciò che blocca il processo di conquista della propria individualità, Saturno è il presupposto per compiere in maniera giusta quel percorso, restando veri con se stessi, senza farsi deviare da antiche paure, falsi pretesti o identificazioni. Non a caso i due pianeti camminano assieme.

Infatti, via via che si va avanti nella vita, che si fanno esperienze piacevoli e gioiose oppure difficili e dolorose, il percorso può cambiare e assumere caratteristiche nuove: quella pietra si può allungare, accorciare, deformare, snaturare fino a diventare completamente diversa da ciò che era all’inizio; diventa un macigno per le sovrastrutture che si sono aggiunte, le rigidità, le interpretazioni, le convinzioni a cui conduce la mente per proteggere l’Io da ciò che può minare le sue sicurezze; si arriva a un punto che c’è più sovrastruttura che struttura, la verità è perduta, la propria natura, snaturata, il divario con l’essenza originaria si fa gigantesco e quindi gigantesco è il divario tra ciò che si pensa di essere e ciò che si è, ma anche tra ciò che si sarebbe potuto diventare se si fosse rimasti fedeli a se stessi, all’essenza racchiusa in quella “pietra”.

Per fortuna, nella psiche profonda, nella parte più sapiente di noi, che non è collegata soltanto alla conoscenza delle cose o all’intelligenza della mente, quella “pietra” rimane come un punto a cui fare riferimento; è come se Saturno ci dicesse: “ricomincia da qui”, da quello che sei e non da quello che pensi di essere, ricomincia da quello che sei e non da quello che sai, o mostri, o dici, o fai, ricomincia dalle tue fondamenta e poi valuta ciò che ti serve per rimanere fedele a te stesso, alla tua specificità, al grande miracolo e all’unicità del tuo progetto e ciò che non ti serve, ciò che è zavorra, ciò che non è in linea con quello che tu stesso vuoi diventare, lascialo andare”. 

Se ci interroga, con onestà e coraggio, Saturno – la nostra sapienza profonda – risponde.

La Prima Materia, la pietra che si è deformata, che ha perso la purezza e l’innocenza originaria giace nell’Ombra, è il Diavolo dei Tarocchi, il Saturno più negativo ma anche iniziatore, che permette di visualizzare proprio ciò che è d’impedimento all’intero percorso, ciò su cui si deve lavorare per andare oltre e compiere il viaggio: è da ciò che giace nell’Ombra che si deve partire.

Un percorso doloroso, di solitudine e senso di privazione. E’ la fase della “nigredo”, l’inizio dell’Opera alchemica collegata al pianeta, in cui gli alchimisti procedevano al “martirio del metallo”, sottoponendolo a diversi passaggi e cioè spogliandolo di tutto ciò che gli impediva di essere quello che doveva essere per dare il meglio di sè. Il primo di questi passaggi era definito “solutio”, la base dell’alchimia, fino ad arrivare alla “coagulatio” e cioè alla creazione della “Seconda materia”, quella che – a sua volta lavorata e trasformata ulteriormente – poteva generare il Lapis, la Terza Materia e decretare ultimato l’intero processo alchemico. E come non pensare alle tre fasi dei transiti saturnini, così come a tutti i transiti dei pianeti lenti: l’incontro col problema da elaborare nella prima fase, la visione di quanto va modificato nella seconda e la liberazione e un nuovo stato dell’essere nel transito finale.

In termini psicologici, lavorare sull’Ombra, illuminarla, accettarne l’esistenza come prerequisito alla trasformazione, permette di giungere ad uno stadio di pura potenzialità, l’unico da cui può emergere una forma nuova, nel rispetto della forma originaria che è stata riconquistata per essere trasformata ed evoluta.

Nella “solutio”, il metallo veniva liquefatto e totalmente dissolto, perché solo a quel punto poteva essere trattato e sottoposto alle varie trasformazioni. Come in una sorta di “ritorno all’utero”, si portava la materia differenziata del metallo al primario stato di indifferenziata fusione, così come leggiamo in un testo alchemico: “Le sostanze non possono essere cambiate se non riportandole innanzitutto alla loro materia prima”.

In sostanza, il cambiamento che esige Urano, pianeta dell’individuazione, ha come prerequisito la riconquista della propria Totalità, della propria natura profonda, a tal punto che, se Saturno ha perso il suo valore originario di base da cui partire rimanendo fedeli a se stessi e cioè a quanto indicato già alla nascita, l’acqua di Nettuno e le energie congiunte di Urano e Plutone si alleano per riportare l’Io punto di partenza; crollano le sovrastrutture e resta solo il caos indifferenziato e da riordinare per arrivare alla Verità, è la psiche stessa che va verso questo traguardo ed è la disperata ricerca di questa nuova sapienza che deve tranquillizzare l’uomo di buona volontà.

E’ anche per questo che i periodi saturnini sono messi in analogia col deserto; è una necessità dell’individuo quella di riunirsi alla sua anima per andare in cerca di se stesso, per ritrovarsi; nel deserto non c’è nulla, ma è proprio in quell’esperienza fatta in solitudine che si può incontrare l’acqua dell’oasi di Nettuno, la propria spiritualità.

La “solutio” psicologica è messa in relazione alle fasi di transizione della vita, in cui si sente di non poter più fare affidamento sulle solite certezze perché proprio queste certezze si stanno sciogliendo; nella “solutio”, Saturno incontra Nettuno e deve cominciare a rafforzarsi davvero, passando dalla falsa resistenza alla vera forza, dall’illusione di sicurezza della vecchia struttura al riconoscimento del valore di quella latente che vuole nascere perché intimamente sa di essere superiore alla precedente.

Infatti, la “solutio” ha un doppio effetto: da un lato scioglie e disintegra tutto ciò che non è più “pietra”, ma si è fatto cemento armato; che non è più punto di riferimento ma corazza che soffoca la vita e dall’altro prospetta una forma nuova, completamente purificata dall’acqua di Nettuno, una forma in potenza, che aspetta di essere espressa.

Per far questo, dopo la “solutio”, si deve accettare la “separatio”, collegata anch’essa a Saturno e alla Nigredo, che si può mettere in analogia col principio di “necessità” proprio dell’esaltazione di Saturno in Vergine, Segno di Mercurio e spartiacque tra la Terra e il Cielo; è lì che si può vedere la realtà; se pensiamo che nella teoria morpurghiana delle trasparenze, in Vergine troviamo Marte, comprendiamo che accogliere, nominare e poi separare i vari contenuti dell’Ombra può far acquistare potere su di loro; Sole/Luna, maschile/femminile, Animus/Anima, bene/male e tutti i contrari presenti nell’archetipo, se vengono accettati nella loro sacra e naturale ambiguità, possono essere ricomposti in una terza dimensione che si rende disponibile,  perché i contenuti vengano visualizzati, purificati e finalmente trascesi.

La falce di Saturno, che inquieta e fa paura, diventa lo strumento necessario per fare pulizia: taglia ciò che non è più ritenuto indispensabile e vitale per l’Io e propone una nuova ma anche più vera scala di valori. Grazie al fuoco marziano della libido che si sprigiona dall’incontro con sentimenti ambivalenti, paradossali e contraddittori che nascono dal desiderio malsano, dalla brama eccessiva per un qualcosa che si percepisce non utile alla propria evoluzione ma di cui non si riesce a far meno, si avanza verso la Verità, l’Albedo della Venere alchemica, lo stadio di mezzo bilancino in cui è possibile distaccarsi attraverso la “sublimatio” di Giove, prendere le distanze, tranquillizzarsi e tentare la ricomposizione che dà il via alla fase finale.

Scrive Jung in “The vision seminars”: “Quando indulgi nella bramosia, sia che il tuo desiderio sia rivolto verso i Cieli o verso gli Inferi, dai all’Animus e all’Anima un oggetto; ma se puoi dire “Sì lo desidero e cercherò di averlo, ma se decido di rinunciarvi, posso rinunciare” allora per Animus e Anima non c’è possibilità. Se non è così, sei governato dai tuoi desideri, sei posseduto. Ma se hai messo Animus ed Anima in una bottiglia, anche se puoi stare male dentro, perché se il tuo demone sta male, anche tu stai male, dopo un po’ capirai che era giusto imbottigliarlo. Diverrai lentamente tranquillo e ti accorgerai che c’è una pietra che cresce nella bottiglia e quando l’autocontrollo e la non indulgenza saranno un’abitudine, la pietra sarà diventata un diamante”.

In alchimia, è questa la fase della “coagulatio” che chiude l’opera saturnina: dopo lo scioglimento e la separazione, resta la forma nuova che ha tutte le caratteristiche della Terra capricornica del Saturno maturo, “la terra nera” degli alchimisti che è “terra fertile”, così come amavano definirla: è solida, stabile, permanente, costante, lineare nei confini, non volatilizza e non prende la forma del contenitore adattandovisi, è lei stessa contenitore e contenuto, è lei stessa “forma”, è Saturno che si compie, è la Pietra filosofale.

Tra gli agenti della “coagulatio” c’è il piombo, strettamente collegato a Saturno. Il piombo è grigio, ma nel senso positivo della parola: è il nero che si è fuso col bianco, ricomponendo gli opposti; il piombo è pesante, come a dire che il principio di realtà presente nella sesta casa, il bisogno di verità esterna che deve coincidere con quella interna, ma soprattutto la presa in carico della responsabilità delle proprie azioni, pensieri, intenzioni che si è fatta primaria rispetto alle proprie fantasie, interpretazioni, illusioni e delusioni, è certamente qualcosa di pesante, di gravoso da affrontare, ma altrettanto necessario per fermarsi a “fare il punto” della situazione; è l’ancora che scende a cercare una base solida e sicura, è il filo a piombo che non fallisce, che non sbaglia  direzione perché individua l’unica rotta che conduce alla meta dove l’anima stessa vuole arrivare; fermarsi, riflettere e riordinare la propria vita permette anche di accogliere e rispettare ciò che si è nella sacra Totalità e contemporaneamente cercare di migliorarsi spalancando così la porta al proprio divenire.

Saturno alchemico chiede di non avere fretta, chiede di fermarsi; il tempo saturnino è il tempo della pazienza, è il tempo dell’attesa ed anche dell’isolamento che non è mai semplice solitudine; è il tempo in cui, se ci si isola e ci s’interroga, Saturno risponde. 

Così come sosteneva Jung circa l’inevitabilità del senso d’isolamento all’inizio del percorso d’individuazione, anche gli alchimisti sapevano che “la strada verso il tesoro” non si può fare in coppia, né sostenuti dagli altri e dal loro consenso. Lavoravano sodo e da soli, magari avevano un aiutante ma il loro lavoro era fatto in silenzio, con cura, scrupolo e timor di Dio.

La loro musa era “Melancolia”, simbolo basilare nell’immaginario alchemico, metafora dello struggimento interno che invade l’uomo in ricerca, che non è mai ripiegamento narcisistico ed inerte, autocommiserazione e contemplazione delle ferite, ma semplice necessità di indagare e scendere nel dettaglio delle cose, di chiedersi “il perché” succedano, capirne il significato. Non a caso, per S. Agostino, la melancholia, o nausea, o depressione, veniva considerata l’anticamera della conoscenza, dell’epifania di Dio.

L’incisione di Albrecth Dürer, Melancolia (1514), tenuta presente da ogni alchimista nella prima fase del suo lavoro perché riassuntiva dei simboli che avrebbe incontrato lungo il viaggio di ricerca, può essere utile per illustrare questa necessità introspettiva collegata soprattutto ai transiti del pianeta.

La Musa, una figura alata in atteggiamento assorto, ritratta scura in volto così come “nera” era la prima fase dell’Opera, nell’atto di tracciare delle linee col compasso sul grande libro appoggiato sulle ginocchia, è contornata da simboli prettamente saturnini: guardando l’incisione, per terra sulla destra, c’è una borsa vuota mentre dalla cintura della donna pendono 4 chiavi; al centro sono sparpagliati attrezzi di lavoro e una sfera, mentre nella parte superiore sono incisi, sulla fornace alchemica, il quadrato magico, una campanella, una clessidra e una bilancia; appoggiata al muro della fornace c’è una scala.

Il primo gruppo di simboli rimanda sia a Saturno Guardiano della soglia, la porta dell’inconscio di cui vengono fornite le chiavi, sia a Saturno Kronos, lo spazio-tempo tracciato col compasso e scandito dalla clessidra e dal suono della campanella; infine, troviamo i simboli di Saturno in qualità di “pianeta del Karma”, che detta il tema e i limiti dell’intero percorso, le tappe d’inizio e fine in cui si può riempire la sacca dei tesori, inizialmente vuota, ma pronta per essere colmata dopo che si siano posti sulla bilancia e pesati i veri valori, quelli personali, quelli riconosciuti come propri e non più condizionati dalla mentalità collettiva, né dalle proprie aspettative, illusioni o delusioni: solo in questo caso la bilancia è in equilibrio. 

Il numero 4, simbolo della completezza per Jung, era il numero primario dell’Opera alchemica, la costante di questa incisione. Quattro sono le chiavi che pendono dalla cintura della donna, quattro i chiodi sparsi per terra e quattro i pioli visibili della scala, simbolo altamente saturnino nel suo significato di ascesa verso lo Spirito, quando si sia ormai attraversato con coraggio il territorio dell’Ombra. 

Infatti, i 3 pioli nascosti e quindi immersi in un territorio oscuro, sommati ai 4 visibili, ci portano al 7, l’altro numero presente nell’incisione, ribadito dal quadrato magico, il quadrato di Giove, il cui risultato è 34. Il 7, numero saturnino per eccellenza è anche il numero delle trasmutazioni alchemiche, così come 7 sono i metalli alchemici e 7 i pianeti che concorrono all’Opus.

Sul pavimento sparpagliati e alla rinfusa, si distinguono vari arnesi: un lungo coltello, una pialla, una tenaglia, i chiodi, più in alto un martello, tutti simboli che riportano al Saturno in sesta; è il Saturno della fatica che premia, del lavoro duro, sia materiale che psicologico che va portato avanti per onorare il “pianeta del fare”, ma sono anche simboli di “separatio”, il procedimento di limatura della Nigredo in cui bisogna rinunciare a tutto ciò che non è essenziale alla propria evoluzione spirituale e lasciarlo andare.

Sul lato sinistro, la sfera simboleggia come – dal caos e dall’indifferenziazione, espressi anche dal cane urobico, acciambellato e dalla ruota di macina che rimanda al tempo circolare -, attraverso Saturno si possa arrivare all’Uno, alla quadratura del cerchio. 

E’ solo tornando indietro a Saturno che possiamo riappropriarci delle fondamenta della nostra struttura; infatti, la pietra che appare sotto forma di un parallelepipedo imperfetto, (c’è un martello a fianco che prevede altro lavoro da fare), segna il passaggio ad una nuova fase saturnina, una fase superiore perché spirituale, ricca di simboli quanto la prima.

Accanto alla pietra c’è un fanciullino, il Bambino Divino che è in ognuno di noi; è il “Mercurius senex” degli alchimisti, perché proprio dalla giusta integrazione tra i due archetipi, tra la gioiosità dell’essere aperti e fiduciosi come un bambino e contemporaneamente ricchi di saggezza e maturità, che si può recuperare un vero stadio d’innocenza ed iniziare a scrivere un libro nuovo, come quello che ha davanti a sé il fanciullo, simbolo delle nuove possibilità che si rendono disponibili nel percorso evolutivo, una volta che si sia fatta luce sulla propria interezza.


E’ questo il significato dell’albero che nasce dall’acqua e quello degli altri simboli che troviamo nella parte superiore dell’incisione: un drago volante che sorregge la scritta “Melancoliah”, simbolo della prima materia trasformata, un astro luminoso che s’irradia dal suo focus, il “Sole nero” così come veniva definito Saturno dagli alchimisti e un arcobaleno che segna il passaggio dalla nigredo all’albedo, l’uscita dalla prova saturnina verso l’abbraccio di Giove, dove la materia può trasformarsi in Spirito, il fine ultimo di tutto l’Opus.

E’ per questo che ritengo Saturno ancor più spirituale di Nettuno, perché se si è accettato l’incontro con l’Ombra, lui – grazie al principio di realtà che simboleggia – può indicarci le vie dello Spirito, la parte più nobile della nostra natura, che non possiamo contattare se non dopo aver riconosciuto quella inferiore, quella materiale.

Leggiamo in una ricetta alchemica “Vai alle correnti del Nilo, lì troverai una pietra che ha un suo spirito. Prendila, dividila e penetra con la tua mano nel suo interno ed estraine il cuore: l’anima infatti è nel cuore”.

E infine, l’ultimo significato di Saturno: quello che vuole il Lapis nascere dal sale.

Saturno è il sal sapientiae, perché la Sapienza non può che derivare dalla presa d’atto della dura realtà, una presa d’atto che può portare amarezza, ma nello stesso tempo operare perché il dolore e la frustrazione saturnina si trasformi in saggezza. E’ questo il momento in cui siamo noi ad imporci al Grande Vecchio, siamo noi a dettare le regole, a decidere del nostro destino.

Anche Jung nel suo “Mysterium Coniunctionis” parla del simbolismo del sale come promotore di questa potenzialità: “Le proprietà del sale che risaltano maggiormente sono il sapore amaro e la sapienza. (…) Dal punto di vista psicologico, l’elemento comune ai due è, per quanto le due idee appaiono incommensurabili, la funzione del “sentimento”. Lacrime, sofferenze e delusioni sono amare, ma in ogni dolore fisico la saggezza funge da consolatrice; anzi, amarezza e saggezza costituiscono un’alternativa. Dove c’è amarezza manca saggezza; dove c’è saggezza non esiste amarezza”.

Saturno/pietra, piombo e sale ci spinge ad onorare la natura umana, il “tesoro” arcano racchiuso nell’uomo, il presupposto per la sua redenzione, per la sua immortalità; almeno in potenza, ciascun essere umano è il sale del mondo, è il centro dell’Universo, è il cuore della vita. E’ per questo che gli alchimisti vedevano proprio nell’uomo la manifestazione di Dio, perchè è solo grazie all’opera dell’uomo che il Divino può essere liberato dalle tenebre della materia ed esprimersi.

E chiudo questo mio viaggio sull’Alchimia con le parole di Jung: “Dio vuole nascere nella fiamma della consapevolezza umana, balzando sempre più in alto. Ma se questo non avesse alcuna radice nella terra? Se non è una casa di pietra quella in cui può abitare il fuoco di Dio, ma una miserabile capanna di paglia che prende fuoco e sparisce? Potrebbe allora nascere Dio? Bisognerebbe essere capaci di subire Dio, Dio si prenderebbe allora cura di se stesso. Il mio principio interiore è Deus et homo. Dio ha bisogno degli uomini per diventare conscio, così come ha bisogno di limiti spaziali e temporali. Cerchiamo allora di essere per lui limitazioni spaziali e temporali ed un tabernacolo terreno”.

di  Francesca Piombo



Bibliografia:

C.G. Jung, Ricordi, Sogni, Riflessioni, BUR Rizzoli, 1998

C.G Jung, Mysterium coniunctionis, Opere, vol. 14/1, Bollati Boringhieri, 1990

C.G. Jung, Psicologia ed Alchimia, Bollati Boringhieri, 2006

  1. F. Edinger, Anatomia della Psiche, Simbolismo alchemico nella psicoterapia, Vivarium, 2008
  2. Raff, Jung e l’immaginario alchemico, Edizioni Mediterranee, 2008
  3. Carotenuto, Integrazione della personalità, Bompiani, 2007
  4. Greene, Saturno, Armenia, 2003
  5. Brizzi, Officina Alkemica, Anima Edizioni, 2006-2008

 

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