Spiritualità

Il Risveglio e lo Sviluppo della Coscienza Spirituale

di Roberto Assagioli
Tratto da: “Lo sviluppo trans-personale”

1 – Il risveglio e lo sviluppo della coscienza spirituale

Il modo superficiale e indefinito in cui la parola ‘spirituale’ è stata ed è spesso usata, ha generato molta confusione e incomprensione. Noi vogliamo evitare di proposito una definizione, preferendo un metodo più scientifico: iniziare con i fatti e le esperienze, e poi l’interpretazione di ciò che è stato osservato e sperimentato. Allo stesso tempo, il preciso significato in cui la parola ‘spirituale’ è usata qui, diverrà chiaro nel corso di questo capitolo.

Il fatto fondamentale di cui ci occupiamo è l’esperienza e la coscienza spirituale e può essere così espresso: fin dai tempi più lontani vi sono stati esseri umani che hanno affermato di avere sperimentato stati di coscienza che differivano grandemente — nelle qualità, nell’intensità e nell’effetto — da quelli che normalmente gettano le pro­prie luci o le proprie ombre sullo schermo dell’umana consapevolezza.

Ma essi fanno un’altra e più vasta affermazione: sostengono che tali stati di coscienza sono il risultato del pervenire, o dell’involontario essere portati in contatto con un piano o sfera di Realtà che è al ‘disopra’, o ‘oltre’, quelli generalmente considerati come ‘reali’.

Questa Realtà è stata spesso chiamata trascendente, ma noi non use­remo questo termine per indicare qualche cosa di astratto, di remoto. Chi ne ha avuto percezioni fugaci attesta che essa è sentita come qualche cosa di più reale, duraturo e sostanziale del mondo di tutti i giorni, come la vera radice ed essenza dell’essere, come ‘vita più abbondante’.

La vastità delle testimonianze di tali contatti con una Realtà superiore più alta e più piena può togliere il respiro. Noi troviamo questi esseri in tutti i tempi e in ogni Paese, e tra le loro fila c’è il fior fiore dell’umanità.

Perciò i tentativi che sono stati fatti per negare tali esperienze, le asserzioni che esse sono mere illusioni, o tutt’al più sublimazioni degli istinti sessuali, sono del tutto arbitrarie, e dimostrano mancanza del vero spirito scientifico. William James, il cui libro The Varieties of Religious Experience è un modello di esame imparziale e scientifico di questo tema, ha vigorosamente dimostrato la realtà e il valore del regno trascendente. "Mi sembra che i limiti estremi del nostro essere – egli scrive – penetrino in una dimensione di esistenza del tutto diversa dal mondo sensibile e comprensibile, come abitualmente con­cepito; sia essa regione mistica o regione supernaturale, che dir si voglia.

Fin quanto i nostri impulsi ideali hanno origine in questa regione (e molti di essi la hanno, perché noi troviamo che ci posseg­gono in un modo che non può essere espresso a parole) noi apparte­niamo a essa in senso più intimo di quello in cui apparteniamo al mondo visibile, perché noi apparteniamo più intimamente ovunque i nostri ideali appartengano. Eppure l’invisibile regione in questione non è meramente ideale, perché essa produce effetti in questo mondo. Quando noi vi penetriamo, il lavoro è effettivamente fatto sul piano della nostra personalità completa, perché noi siamo divenuti uomini nuovi, e ne consegue un modo di condurci nel mondo naturale corri­spondente al nostro cambiamento rigeneratore. Ma ciò che produce effetti entro un’altra realtà deve essere chiamato una realtà esso stes­so, perciò io sento che non abbiamo una scusa filosofica per chiamare ‘irreale’ il mondo invisibile o mistico.

"L’importanza di questo regno superiore di esperienza e di realtà non può essere sopravvalutata, e la sola possibilità della sua esistenza dovrebbe stimolare gli scienziati a dedicare alla sua indagine una som­ma di energia, di tempo e di zelo commensurata al suo umano valore".

La dichiarazione del James è tale da renderne possibile l’accettazione da parte di ogni individuo libero, e incoraggiarlo ad adottarla come una base degna di fiducia per una ulteriore ricerca. Così stando le co­se, quale dovrebbe essere il nostro atteggiamento verso questo regno superiore? Il buon senso ci dice che si dovrebbe tener conto di esso con la stessa serietà con cui si è pronti a considerare l’affermazione di un gruppo di esploratori di avere scoperto, diciamo, un territorio prima sconosciuto, ricco di petrolio o di metalli pregiati. Ignorare una simile affermazione sarebbe una follia, perché correremmo il rischio di privarci della opportunità di acquisire nuove immense fonti di ricchez­za. Ma un affluire disorganizzato nella nuova regione, senza un ade­guato equipaggiamento, adeguate armi o arnesi, esporrebbe sicuramente coloro che vi si avventurassero ai pericoli delle condizioni climatiche locali, e persino delle bestie feroci. Nella migliore ipotesi, simili ten­tativi sconsiderati avrebbero probabilità di successo soltanto dopo aver superato grandi difficoltà, e sarebbero compensati solo da una superficiale quantità dei tesori che attendono gli esploratori più abili, me­glio preparati e più oculati.

La ragione e l’esperienza consigliano, naturalmente, che un ragionevole approccio al problema dovrebbe essere:

1- Studiare profondamente tutte le notizie possibili riguardanti il territorio.
2- Organizzare un’adeguata spedizione ed equipaggiarla nel miglior modo possibile.

Seguiamo perciò lo stesso metodo, ed esaminiamo e paragoniamo ciò che gli esploratori di questo poco noto ‘territorio’ di cui ci occu­piamo hanno da dirci.

All’inizio ci troviamo di fronte a sostanziali difficoltà. In primo luogo: il fatto centrale e il punto di accordo al quale già ci siamo ri­feriti è stato sovraccaricato da una massa di parole descrittive che dif­ferisce a seconda del punto di vista di ogni osservatore. Vale a dire: ognuno di essi ha rivestito il proprio racconto con parole che presen­tano importanti discrepanze; la sua esperienza ha suscitato in lui dif­ferenti reazioni emotive, che egli ha interpretato in vari modi parzial­mente contraddittori. Usando l’appropriata espressione di James, ogni individuo mischia con l’esperienza originale una serie di strutture per­sonali non esatte, alle quali spesso egli diviene fortemente attaccato mentalmente ed emotivamente.

È a questa diversità che si devono la confusione, le concezioni erra­te e i dubbi che circondano questo argomento.

Ma l’esistenza di tali differenze non sorprende e non dovrebbe inva­lidare la fondamentale realtà delle esperienze. Essa è perfettamente na­turale e, fino a un certo punto, inevitabile, per due ragioni importanti: la prima è che nessuna sfera di realtà è qualche cosa di omogeneo e di semplice, bensì un ‘mondo’ reale, molteplice, vario, ricco di pienezza di vita. Poco meraviglia, allora, che i molti aspetti di quella Realtà abbiano prodotto tali differenti concezioni di ciò che è stato veduto. La seconda ragione può essere attribuita alle ampie dissimiglianze esi­stenti nelle costituzioni psico-fisiche, nello sviluppo mentale e nella preparazione storica e culturale degli osservatori. Un medesimo aspetto della Realtà viene appreso, interpretato e narrato nei modi più diversi.

La prima conclusione da trarre da quanto è stato detto è che la coscienza spirituale non dovrebbe in alcun modo essere limitata dal tipo di esperienze e di credenze religiose o mistiche né identificata con esse. L’importanza di tale distinzione è illustrata dalle molte incomprensioni e dai numerosi conflitti, dalla confusione e lo sbigottimento risultati dalla sua mancanza. Vi è oggi un numero crescente di individui che si trovano in disperata necessità e in ansiosa, anche se spesso inconscia, ricerca di qualche cosa di più soddisfacente, più reale della vita ‘normale’ quale essi la conoscono. Molti hanno mente acuta e visione realistica e non riescono a trovare ciò di cui hanno bisogno nella religione tradizionale. In alcuni insorge una violenta opposizione, in altri semplice indifferenza. I credo, la teologia, gli inni, le cerimonie e gli appelli emotivi a un Dio personale e persino alle Chiese stesse appartengono, per quanto li concerne, a un’età passata, quasi a un mondo diverso.

Per deplorevole che possa sembrare, è un fatto innegabile e risulta evidentissimo nell’atteggiamento delle generazioni più giovani. Esse desiderano scoprire le cose da sole, avere diretta esperienza di ogni aspetto della vita e accettano soltanto ciò che viene offerto in modo oggettivo, ben provato e comprensibile, in altre parole in maniera scientifica, nel miglior senso del termine.

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2 – Il supercosciente

Nello studio della costituzione psichica dell’essere umano, è arriva­to il momento di prendere in esame la parte superiore dell’inconscio: il supercosciente e il Sé spirituale. Anzitutto bisogna affermare la realtà del supercosciente, poiché essa non è ancora generalmente rico­nosciuta e, soprattutto nel campo della scienza e della psicologia, è per molti una terra ignota. (Vedremo più oltre perché). Ma la realtà del supercosciente non ha bisogno di essere dimostrata; è una esperienza e, quando ne diventiamo consapevoli, costituisce uno di quelli che il Bergson ha così bene chiamati ‘dati della coscienza’, i quali han­no in se stessi la propria evidenza e la propria prova. È un’esperienza diretta come quelle di un colore, di un suono, di un sentimento. Nessuno può, né ha bisogno di ‘dimostrare’ la sensazione del rosso o del verde, della gioia o del dolore; per chi ne ha l’esperienza, sono una realtà psicologica.

A questo proposito occorre evitare un possibile malinteso e chiarire un dubbio. Come si può parlare di esperienza, di consapevolezza, di ciò che è al di fuori o al di sopra della coscienza? La risposta è facile ed è la stessa che si può dare per ogni altro aspetto o livello dell’inconscio. Noi possiamo avere l’esperienza cosciente di elementi, attività, contenuti psichici che abitualmente esistono al di fuori della no­stra consapevolezza, quando, in certi momenti o condizioni, essi entrano nel campo della coscienza.

Vi è un continuo scambio, una ‘osmosi’, fra coscienza e inconscio. In un dato momento quello che era supercosciente diviene cosciente, resta tale per un po’ di tempo più o meno breve o lungo, e poi ritorna a essere supercosciente. Ricordo a questo proposito che ‘supercosciente’, ‘inconscio’, ‘cosciente’ sono aggettivi, sono cioè condizioni temporanee di un fatto psichico.

L’entrata del supercosciente nella coscienza può avvenire in due mo­di: il primo, e più frequente, si può chiamare ‘discendente’: è l’irruzione di elementi supercoscienti entro il campo della coscienza, quali intuizioni, illuminazioni improvvise, ispirazioni. Spesso sono sponta­nee, inattese, ma talvolta costituiscono la risposta a un appello, a un’invocazione, consapevole o no. Il secondo modo si può chiamare ‘ascendente’; consiste nell’elevazione del nostro centro di coscienza, dell’io autocosciente, a livelli superiori a quelli ordinari, fino alla sfera del supercosciente.

Le testimonianze dell’esperienza del supercosciente sono innumerevoli, di ogni tempo e di ogni luogo, antiche e moderne, orientali e occidentali. Esse sono di vario genere; vi sono anzitutto quelle che rientrano nel campo religioso, soprattutto le esperienze mistiche; ma è bene notare che non sono le sole; ci sono esperienze supercoscienti che hanno altri caratteri, non religiosi. Se le esperienze supercoscienti sono un fatto, devono naturalmente prestarsi a un’indagine scientifica, come qualsiasi altro ordine di fatti, e invero essa è stata iniziata, ma è poco sviluppata in confronto all’enorme importanza e al valore umano e spirituale del supercosciente. Mentre ci sono migliaia e migliaia di psicologi in tutto il mondo che studiano gli altri aspetti della na­tura umana (soprattutto quelli inferiori!) pochissimi sono quelli che si occupano del supercosciente.

Quali sono le cause di questo strano fatto? Anzitutto il materiali­smo fondamentale dell’essere umano, soprattutto il materialismo teo­rico e pratico dell’uomo occidentale; egli è come ipnotizzato dalle sensazioni prodotte dal mondo esterno e da quelle del proprio corpo. Egli è fondamentalmente estroverso, tende ad agire verso l’esterno; il mondo interno in tutti i suoi aspetti gli fa paura, o si trova poco a suo agio in esso. Perciò tende a evadere, a sfuggire a tutto ciò che lo por­ta all’interno, al confronto con se stesso. Un’altra ragione è la paura di essere anormali, o di essere considerati tali. Chi ha certe esperienze supercoscienti teme di ‘perder la testa’; soprattutto quando sono irru­zioni improvvise, inattese, diverse dalla piccola, ristretta normalità quotidiana, si teme che siano morbose, anormali, mentre sono super-normali. Infine nel campo scientifico l’ostacolo maggiore è il precon­cetto ostinato che quelle esperienze non siano oggetto di scienza. La psicologia, come la più giovane delle scienze, si è appoggiata, o meglio è rimasta legata, alla metodologia delle scienze naturali, la quale non le conviene affatto ed è per essa un ‘letto di Procuste’. Invece ha il diritto e il dovere di usare metodi altrettanto seri e scientifici: ma adeguati alla sua natura.

Vi è stato però un gruppo di pionieri coraggiosi che hanno osato avventurarsi nel campo del supercosciente e che hanno cercato di studiarlo scientificamente. Il primo è stato il grande psicologo americano William James, il quale in una serie di conferenze, riunite poi nel volume Varieties of Religious Experience, ha fatto un acuto esame delle esperienze religiose, con simpatia e apprezzamento, ma in modo imparziale e obiettivo. Questo è tanto più apprezzabile in quanto il James riconosce di non aver avuto egli stesso queste esperienze; quindi ha dovuto fare un notevole sforzo scientifico per studiarle attraverso quel­le altrui.

Le conferenze del James sono state tenute alla fine del secolo scorso (XIX secolo – ndr). Poco dopo, un medico americano, il dottor Bucke, dopo aver avu­to un’esperienza improvvisa e inattesa di illuminazione spirituale che lo aveva scosso profondamente, si mise a studiare le testimonianze di quella che, con un termine discutibile, egli chiamò ‘coscienza cosmica’. Ne raccolse e commentò molte, di ogni tempo, e ne diede una sua interpretazione nel libro Cosmic Consciousness, pubblicato nel 1901.

Un altro medico, Winslow Hall, ha fatto una raccolta di testimonianze di illuminazione il cui valore sta nel fatto che si tratta di men of the street, di ‘persone qualunque’, che non possedevano alcuna altra caratteristica superiore, e che pure avevano avuto esperienze di carattere supercosciente molto notevoli.

Fra gli psicologi moderni, vi è Jung secondo il quale in quello che egli chiama ‘inconscio collettivo’ esistono elementi che hanno un carattere superiore, superpersonale. Il sociologo Sorokin ha dedicato. un capitolo del suo libro The Powers and the Ways of Altruistic Love al supercosciente. Il Frankl, neurologo di Vienna, ammette pienamente l’esistenza di esperienze supercoscienti. Lo psichiatra Urban di Innsbruck parla della ‘psicologia dell’alto’. Infine, un’ampia indagine sul supercosciente è stata fatta da uno psicologo americano, A. Maslow, professore alla Brandeis University, che ne ha esposto i risultati nelsuo libro Towards aPsychology of Being (Verso una psicologia dell’essere, Astrolabio, Roma 1971). Egli chiama ‘essere’ l’insieme delle esperienze che noi chiamiamo supercoscienti, poiché uno dei loro ca­ratteri è di dare un senso di ‘pienezza di essere’, di intensità di esistere e di vivere. Il Maslow ha raccolto una serie di dati importanti median­te interviste personali e l’uso di un questionario.

Questo ci porta a parlare dei metodi d’indagine del supercosciente. Anzitutto occorre raccogliere i documenti che già esistono: biografie, autobiografie, epistolari, ecc., di ogni tempo; poi procurarne altri me­diante colloqui personali e questionari.

Il secondo stadio dell’indagine scientifica, è l’esame, la classifica­zione, l’interpretazione, la valutazione dei dati così raccolti. Il terzo metodo, il più interessante, è quello sperimentale, cioè l’uso dei metodi psicologici, sia di quelli atti a facilitare la discesa di elementi supercoscienti nel campo della coscienza, sia di quelli che promuovono l’asce­sa del centro di coscienza nelle luminose regioni superiori.

Vediamo quali sono i dati finora acquisiti nell’indagine del supercosciente, cioè quali sono i caratteri di quei livelli superiori, o degli stati di coscienza che essi producono quando entrano nel campo della coscienza. Ne ho elencati e descritti tredici. Il primo è un senso di approfondimento; in varie testimonianze si parla di arrivare alla radi­ce, alla base del proprio essere, di lasciare la superficie ordinaria della coscienza, di arrivare al fondo di se stessi. Un altro è il senso di interiorizzazione, il procedere dall’esterno all’interno, dalla periferia al cen­tro del nostro essere. Il terzo è quello dell’elevazione, dell’ascesa; il ‘salire’ a un livello più alto. Il simbolismo di scalare una montagna, di arrivare su di una cima, si trova spesso nelle testimonianze, e viene col­legato col sentiero, con la via, da percorrere. Il quinto carattere è quello dell’espansione, dell’allargamento, talvolta vertiginoso, della coscienza: i limiti ristretti dell’io separato sono trascesi, annullati per il momento, e si ha il senso di partecipare a una coscienza più vasta. Il sesto è lo sviluppo,l’attivazione, il senso di eliminare dei ‘viluppi’, dei veli, ciò che chiude, che ostacola, e quindi un ‘fiorire’, un emergere. Il settimo è il potenziamento; si sente un’energia più potente operare in noi, ci si sente più forti, più dinamici; si prova la pienezza, l’inten­sità di essere, di esistere, già accennata. Un altro carattere frequente dell’esperienza è quello del risveglio. In molte testimonianze si trovano espressioni come le seguenti: "Mi sono risvegliato a una realtà superio­re", "Sono uscito dalle tenebre dei sensi", "Sono passato dallo ‘stato sognante’ della vita ordinaria a uno stato di veglia superiore".

Si ricordi che il nome proprio del Buddha era Gautama e che ‘Buddha’ significa ‘il Risvegliato’, ‘il Perfetto Svegliato’. È anche molto frequente il senso di illuminazione di una nuova luce, non terrena, che trasfigura il mondo esterno, nel quale appare una nuova bellezza; che illumina il mondo interno, ‘getta luce’ sui problemi, sui dubbi e li dissipa; è la luce intuitiva di una coscienza superiore. A questa gene­ralmente si accompagna anche un senso di gioia, di letizia che arriva a stati di beatitudine. E con questi, o indipendentemente, un senso di rinnovamento, di rigenerazione, della ‘nascita’ di un nuovo essere in noi. Vi è poi il senso di resurrezione, di assurgere a uno stato prece­dente perduto, dimenticato. Infine il senso di liberazione, di libertà interna.

Questo insieme di caratteri corrisponde in gran parte a quelli delle testimonianze raccolte e studiate dal Maslow, il quale indica quattordici caratteristiche, che egli chiama i ‘valori della coscienza dell’essere’. Sono: senso di pienezza, di integrazione, di totalità; senso di perfezione, di completezza, di vitalità, d’intensità di vita; senso di ricchezza insieme anche un senso di semplicità; senso di bellezza, coscienza della bontà, assenza di sforzo, spontaneità, gioia, giocosità, ‘humour’; senso della verità, della realtà dell’esperienza, cioè l’esperienza rivela qualcosa di vero, di più vero di quello che possa conoscere la coscienza ordinaria. Infine un senso di indipendenza, di libertà interiore, cioè di non aver bisogno di poggiare su null’altro; autosufficienza in senso superiore, spirituale.

Il Maslow dice giustamente che tutte queste manifestazioni sono interpenetranti e collegate: "Sono tutti aspetti dell’essere, più che parti di esso".

Questo fa sorgere il desiderio di avere esperienze tanto belle e affascinanti. Come possono venire favorite o provocate? Ora però devo dare qualche pennellata più scura, cioè dire che anche tali esperienze possono presentare inconvenienti e pericoli. Questi possono insorgere sia a causa della erronea comprensione e valutazione delle esperienze, sia a causa della loro intensità. L’erronea valutazione consiste, come ho accennato, nel considerarle come qualcosa di strano, di anormale, che possa essere segno di squilibrio mentale, ma a parte questa falsa interpretazione, l’irruzione, soprattutto se improvvisa e molto intensa, di elementi supercoscienti, disturba il preesistente equilibrio (più o meno reale) della personalità ordinaria e può produrre in essa reazioni, o di eccessiva eccitazione, o di disorientamento. E anche nello sviluppo, nell’ascesa verso i livelli superiori possono prodursi incidenti e disturbi. Non posso parlarne ora; ma ho trattato ampiamente questo tema in un saggio su "Sviluppo spirituale e disturbi neuro-psichici" (Il saggio costituisce il capitolo 10 del presente volume).

D’altra parte, i vantaggi, il valore, di quelle esperienze sono di gran lunga superiori ai disturbi che possono, in un primo tempo, produrre. Esse aiutano in modo efficace a risolvere, o avviare alla soluzione, tutti i problemi umani, individuali e sociali. Lo fanno inquadrandoli in una realtà più vasta, riducendoli alle loro giuste proporzioni, valu­tandoli in modo diverso e più giusto. In tal modo quei problemi, o non preoccupano più e si dissolvono, oppure sono illuminati da una luce superiore in modo che le soluzioni si presentano chiare.

Ne darò qualche esempio. Una delle maggiori cause di sofferenza e di errori di condotta è la paura; sia l’angoscia individuale, sia le paure collettive che possono spingere fino a una guerra. Ebbene, l’espe­rienza della realtà supercosciente annulla la paura, ogni senso di ti­more è incompatibile con la realizzazione della pienezza e della perma­nenza della vita. Un’altra causa di errori e di mali è la combattività, che è basata sulla separatività, sull’aggressività, su sentimenti di osti­lità, di odio. Ma nella serena atmosfera del supercosciente quegli impulsi e quei sentimenti non possono esistere. Chi ha un allargamento della coscienza, una partecipazione, un senso di unità con tutti gli esse­ri, non può combattere più, lo trova assurdo, sarebbe come combatte­re contro se stesso! In tal modo i problemi più gravi, più angosciosi, vengono risolti, eliminati, dallo sviluppo, dall’allargamento, dall’ascesa della coscienza al livello di una superiore Realtà.

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Prima di finire il nostro esame, sia pur sommario, del supercosciente è necessario mettere bene in chiaro la distinzione fra esso e il Sé spirituale, che è indicata nel nostro schema della costituzione psicologica dell’essere umano. Spesso questa distinzione non viene fatta, poiché i contenuti del supercosciente, soprattutto nei suoi livelli superiori, sono molto prossimi al Sé e quindi partecipano in qualche misura delle sue qualità. Ma vi è una differenza fondamentale: nel supercosciente vi sono elementi, ‘contenuti’ di vario genere, attivi, dinamici, mutevoli, che partecipano alla corrente della vita psichica nel suo insieme. Invece il Sé è immobile, stabile, immutabile; quindi diverso da essa.

È opportuno tener presente tale differenza, anche perché questo senso di permanenza, di stabilità è trasmesso, per quanto in modo attenuato e velato, dal Sé spirituale al suo riflesso, l’io cosciente, personale; è questo che ci dà il senso di permanenza, di identità personale, attraverso tutti i cambiamenti, e l’avvicendarsi degli stati d’animo, dei mutevoli contenuti della coscienza. Per quanto noi ci identifichiamo successivamente con vari ‘personaggi’, con le varie sub-personalità, con le varie emozioni che via via occupano il campo della coscienza, pure in fondo ognuno sa di essere sempre se stesso. Se talvolta qualcuno dice: "Non mi riconosco più", quando è avvenuto un mutamento importante nella sua vita, ciò in realtà significa: "Quello con cui mi identificavo prima è scomparso e ora m’identifico con qualcosa d’altro". Ma proprio il dire: "Non mi riconosco più" implica, paradossalmente, un oscuro, latente senso di una sottostante con­tinuità. Se questa non ci fosse, non potrebbe neppure esservi il senso di non riconoscersi, che è basato su di un paragone, un confronto fra lo stato di coscienza precedente e quello attuale. Quindi il carattere essenziale dell’autocoscienza è la continuità, la permanenza; ma quella dell’io cosciente è soltanto un pallido riflesso della perenne, immortale essenza dell’Io spirituale, del Sé.

Il Sé, nel diagramma, è posto all’estremo superiore della periferia della personalità, in parte entro di essa, in rapporto di continuità col supercosciente, in parte al di fuori. Ciò sta a indicare la sua duplice natura: individuale e universale, allo stesso tempo. Questo sembra paradossale, incomprensibile alla mente, alla coscienza personale, ma è uno stato di coscienza che può essere, ed è, sperimentato, vissuto, in certi momenti di elevazione, di ‘uscita’ dai limiti della consapevolezza ordinaria. In esso si prova un senso di allargamento, di espansione senza limiti, pervaso da intensa gioia e beatitudine. È essen­zialmente ineffabile, non esprimibile in parole.

Qui si viene a contatto col Mistero, con la Realtà suprema. Di questo non posso parlare; è oltre i confini della scienza, della psicologia. Ma la Psicosintesi può aiutare ad avvicinarsi, ad arrivare a quella soglia, e questo è già molto.

3 – Alpinismo psicologico

Abbiamo detto che ci sono due modi diversi e in un certo senso opposti per l’esplorazione del supercosciente. Il modo più frequente è quello che si può chiamare discendente: consiste nell’afflusso, nel­l’irruzione nel campo della coscienza di elementi superiori. Si potrebbe considerare quale una forma di telepatia verticale; telepatia, poiché fra l’io cosciente e il Sé c’è una notevole distanza. Quegli afflussi si manifestano sotto forma d’intuizioni, ispirazioni, creazione geniale, impulsi all’azione umanitaria ed eroica. Vi sono anche fenomeni specificamente parapsicologici, alcuni dei quali indurrebbero ad ammettere che col tramite dell’inconscio a tutti i suoi tre livelli arrivino alla coscienza influssi e impulsi aventi origine extraindividuale.

L’altro tipo di rapporti e contatti che possiamo stabilire col supercosciente è quello ascendente. Esso consiste nell’elevazione dell’io cosciente, e con esso dell’area della coscienza, a livelli più alti, fino a penetrare nella zona che normalmente ignoriamo poiché è al di sopra del livello ordinario della nostra consapevolezza Questo è indicato chiaramente nel nostro schema (vedi fig. 1).

La zona al centro rappresenta il livello e l’area normale di consapevolezza, con al centro l’io cosciente. Nell’ascesa interna tutto ciò si sposta e sale al livello del supercosciente e quindi l’area della coscienza viene a includere il contenuto del supercosciente e ad avvicinarsi sempre più al Sé spirituale.

Oggi mi soffermerò su questo secondo modo.

Ho chiamato tale ascesa ‘alpinismo psicologico’ e questa designa­zione non è soltanto un paragone più o meno suggestivo: essa indica un’analogia sostanziale e uno stretto rapporto simbolico; nell’illustrarlo mi varrò, fra l’altro, di alcuni appunti di un valente matematico e non meno valente alpinista: il professore Ettore Carruccio.

Una prima analogia è quella riguardante i diversi moventi che pos­sono indurre e incitare alle ascese, tanto a quelle fisiche, quanto a quelle interne. "Talora", come dice giustamente il Carruccio, "la pas­sione alpinistica assume una forma che la collega con la concezione del superuomo, nel senso di Nietzsche, in una esasperata affermazione di potenza individuale, nel superamento di estreme difficoltà non di­sgiunte da gravi pericoli". Analogamente la spinta a lasciare i livelli consueti della vita psichica può consistere in una ricerca e in un’af­fermazione di superiorità, nel desiderio di sviluppare facoltà mediante le quali dominare gli altri: la nietzscheiana ‘volontà di potenza’, la brama di acquistare poteri supernormali, ‘magici’. È un movente essenzialmente egoistico, anche se talvolta si nasconde sotto espressioni pseudospirituali.

Un altro movente comune a entrambi gli alpinismi è l’evasione dalla vita ordinaria, dalla realtà comune considerata, sentita, come meschina, noiosa, penosa, cioè in vari modi insoddisfacente. È una reazione frequente alle costrizioni e alla prosaicità della vita moderna, soprattutto nelle grandi città.

Un terzo movente è quello del fascino che esercita direttamente l’ignoto, lo straordinario, il misterioso, che ha sempre spinto gli uomini alla conquista, l’esplorazione, la conoscenza del nuovo, di ciò che è al di là, a fare esperienze diverse da quelle consuete. Questo mo­vente, questo impulso imperioso, talvolta irresistibile, è stato impersonato da Omero nella figura di Ulisse e tutta l’Odissea svolge que­sto tema. Le sue manifestazioni moderne sono la ricerca di esperienze straordinarie e si usano tutti i mezzi per averle, comprese le varie droghe. Occorre tener conto di questo movente per comprendere molte cose che avvengono attualmente.

Un quarto movente è l’attrazione, il fascino dell’avventura, della difficoltà, del rischio per se stesso, indipendentemente dai risultati e dei compensi dell’impresa; per esempio alcuni casi recenti, come quello del ‘navigatore solitario’ che ha attraversato gli oceani in una barchetta. Questo avviene appunto nell’alpinismo detto ‘accademico’, cioè nella ricerca e nei tentativi di percorrere vie nuove, e le più dif­ficili, per arrivare sulla cima di una montagna, sulla quale si può arrivare in modi meno pericolosi.

Questo movente si associa talvolta al precedente, e ciò spiega come su molti giovani non facciano presa gli avvertimenti, e la dimostrazione dei rischi ai quali si espongono e tanto meno i divieti e le costrizioni esterne. Il riconoscimento di questo fatto è importante, poiché dimostra che nell’opera di prevenzione e di cura di coloro che si drogano, occorre ricorrere ad altri modi, fare appello ad altre molle psicologiche. Non ci si illuda che indicare i rischi, i danni di quello che fanno, basti a distoglierli; ma non posso soffermarmi su questo.

Un quinto movente, spesso molto forte, e che non deve essere con­fuso con i precedenti, anche se non di rado può essere associato in varie proporzioni con essi, è l’attrazione, il fascino di quello che è veramente superiore, che ha un valore più alto, di natura genuina­mente spirituale. Sotto questo aspetto l’alpinismo, scrive il professor Carruccio, "è inteso come un ramo dell’ascetica in relazione col senti­mento religioso nelle sue varie forme, dall’antichità ai nostri giorni". Guido Rey pensava con spirito poetico a un convento di alpinisti: "Le vette attorno", egli ha scritto, "sono gli altari ove si vanno a compiere i riti misteriosi, lontani dalla vista degli altri uomini, terri­bili talora, e quindi si è compiuto il rito più terribile e il più santo".

Questa affermazione è molto significativa. Indica la ragione dell’in­tensa attrazione, del fascino che hanno sempre suscitato le montagne e il carattere sacro a esse attribuito da tutti i popoli, e gli stati d’en­tusiasmo, di elevazione interna provati dagli alpinisti.

Ecco qualche espressione significativa riportata da un ottimo studio di Edoard Monot-Herzen su questo tema, intitolato "Ad summum per quadratum" (per quadrato intende la base di una piramide che è un simbolo geometrico ascendente) pubblicato nella rivista Action et pensée, dicembre 1956. "La guida Joseph Pession, entrando nel rifugio superiore del Cervino, mi disse: ‘Entrando qui si abbandonano tutte le miserie terrene… ora entreremo in un mondo del tutto nuovo’. E un portatore, quando arrivò sulla cima, disse che ‘sentiva la voce degli angeli e che ormai poteva morire contento’ ".

Il pittore Alberto Gross, riferisce il figlio Carlo, provò per circa 70 anni un amore appassionato per il Cervino, trasfigurato da una specie di mistico sentimento. "Questo", dice il Monot-Herzen, "si applica allo stesso Carlo Gross e a Guido Rey, che entrambi scris­sero un libro sul Cervino, o a me stesso, che in 50 anni feci 19 ascensioni al Cervino, riportandone ogni volta una nuova rivelazione e un nuovo incanto".

È noto che gli indiani consideravano le vette dell’Himalaya come la dimora degli Dei, e che per i greci le loro divinità abitavano sul monte Olimpo. Il grande pittore giapponese Hokusai dipinse più di cento volte il sacro nome Fuji, considerato quale tempio della divi­nità detta ‘La Principessa del Fiore-Sbocciato’, che allude alla rosa e al suo sbocciare. In uno di questi quadri di Hokusai si vede la cima del Fuji scintillante al sole, mentre a metà costa imperversa il tem­porale. Altre testimonianze sono i templi che si trovano sui monti, la rivelazione sul monte Sinai a Mosè, la trasfigurazione del Cristo sul monte Tabor, il suo discorso sulla montagna.

Vediamo più da vicino le analogie più precise fra i vari stadi dell’Ascesa esterna e interna. Prima dell’ascesa occorre in entrambi i casi un’adeguata preparazione. Quella degli alpinisti è l’allenamento dei muscoli in pianura, con la ginnastica e altri mezzi per rafforzare i mu­scoli. Prima di salire bisogna essere forti in pianura; sarebbe assurdo tentare un’ascesa mentre riesce faticoso fare del podismo, della gin­nastica. Questo è ovvio; invece non è riconosciuto e attuato per le ascese psicospirituali, che spesso vengono tentate senza alcuna preparazione.

Nella Psicosintesi noi insistiamo sempre che occorre una adeguata psicosintesi personale, il dominio e l’uso delle energie e delle funzioni normali dell’uomo prima di sviluppare quelle superiori, prima di sali­re a esplorare il supercosciente. Quando questo non viene fatto si possono produrre squilibri psichici, anche gravi.

Ma la preparazione fisica o psicologica non basta, occorre una cono­scenza almeno teorica della regione nella quale stiamo per avventu­rarci. Per i monti, fuorché nei casi di montagne su cui si sale per la prima volta, ci sono carte topografiche, informazioni e descrizioni di chi vi è già stato. Nel campo psicologico ciò corrisponde alle cono­scenze già acquisite riguardo al supercosciente per mezzo degli scritti di coloro ché hanno avuto esperienze di quei livelli superiori. Ancora più utili sono i rapporti personali con chi ha esplorato quelle altezze: gli Istruttori spirituali genuini; dico genuini, poiché molti che si pro­clamano tali, non lo sono.

Con questa duplice preparazione si può affrontare l’ascesa. È un’ascesa, non è un volo; quindi ha vari stadi e tappe. Ci sono due de­scrizioni, entrambe molto istruttive e illuminanti, di questa salita gra­duale: una è la salita di Dante sul monte del Purgatorio, che è l’oggetto della seconda cantica della Divina Commedia. Letta dal punto di vista psicosintetico e anagogico, può dare anche ora molte indicazioni utili e sempre attuali, poiché gli ostacoli e le difficoltà da superare sono in gran parte le stesse.

L’altra è la salita al monte Carmelo, che è descritta in un grosso volume di san Giovanni della Croce. Questo ha un carattere specificamente ascetico e mistico, ma anche in esso ci sono vari tesori di conoscenza psicologica e di istruzioni che, tradotte in linguaggio mo­derno, e tolte da certe inquadrature dell’epoca, possono essere molto istruttive. Ne darò solo un esempio: san Giovanni della Croce descrive minutamente gli stati di aridità, di freddezza, di ‘notte oscura’ che seguono alle prime esperienze gioiose, calde, ricche di sentimento. Esse corrispondono al freddo e alla nebbia fitta in cui un alpinista a un certo punto dell’ascesa entra, prima di arrivare alla vetta irradiata dal sole.

Questo simbolismo della montagna e dell’ascesa è stato utilizzato in vari metodi psicoterapici. Un professore di clinica medica a Darm­stadt, che ha fatto uso attivo della psicoterapia, Carl Happich, presentava tre situazioni simboliche che chiamava Meditazione del prato, della montagna e della cappella.

Questo metodo dell’ascesa interna mediante l’immaginazione di una salita su una montagna è stato usato, fra altri, dal Desoille nella sua tecnica del (rêve éveillé’, e poi sviluppato e modificato, coi nomi di ‘Imagerie mentale’ e ‘Oneiro-thérapie’ dal dottor Virel.

Anche col metodo del disegno spontaneo si hanno non di rado im­magini di montagne da salire già conquistate.

L’importanza dei simboli quali specchio e tramite di realtà spirituali, è indicata nello schema seguente:

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In questo schema vi è un centro esterno che può fare da specchio del Sé spirituale.

Talvolta, anzi, è più facile percepire un riflesso del Sé spirituale, non con l’ascesa diretta, ma col suo rispecchiarsi in un centro esterno.

Questo può essere il terapeuta stesso, come modello ideale, ma anche un simbolo come quello della montagna. Vi sono varie categorie di simboli e vari simboli anagogici di ascesa che possono essere utilizzati.

Nella Psicosintesi usiamo esercizi di questo genere: uno, quello su accennato del monte del Purgatorio. La Divina Commedia può essere considerata come il poema della psicosintesi, perché descrive i suoi tre grandi stadi: prima la discesa all’Inferno, che è la fase psicoanalitica, la discesa nell’abisso dell’inconscio inferiore; poi la salita al Purgatorio che rappresenta l’ascesa interna; poi il Paradiso che indica stadi sempre più alti di realizzazioni spirituali.

Un altro gruppo di simboli è usato nell’esercizio sulla leggenda del Graal. Esso è descritto nel mio libro: Principi e metodi della psico­sintesi terapeutica (pp. 171-173).

Questi simboli non hanno soltanto efficacia terapeutica; sono non meno efficaci, se non più, per conquistare le altezze luminose del supercosciente, per scoprirne tutte le meraviglie e per utilizzarne i tesori.

Come per salire su un monte ci sono varie vie, così ci sono varie ‘vie interne’, adatte ai vari temperamenti, ai vari tipi psicologici, per salire sulle vette del supercosciente e venire in contatto col Sé spiri­tuale. C’è la via mistica, la via dell’amore, la via estetica espressa da Platone nella sua famosa scala della bellezza, la via meditativa, ecc.

Ora dirò qualcosa soltanto della via meditativa, che rientra più di­rettamente nel campo della Psicosintesi.

La prima fase, che in un certo senso corrisponde alla preparazione suaccennata, è quella del raccoglimento, della concentrazione dalla periferia al centro, della disidentificazione, cioè la liberazione del campo di coscienza dai contenuti ordinari. La nostra coscienza in generale è dispersa in vari punti del campo di coscienza; inoltre riceve continuamente messaggi, ‘informazioni’ come si suol dire ora con linguaggio cibernetico, dai vari livelli dell’inconscio e dal mondo esterno. Quindi prima di tutto occorre ‘rientrare in sé’, cioè ritirare la coscienza nell’io cosciente in mezzo al centro dell’area cosciente, al livello normale.

Occorre fare silenzio, non solo esterno, ma anche interno; a questo proposito citerò una risposta arguta di un Istruttore. Un suo discepolo diceva: "Io chiudo gli occhi, non guardo l’esterno, chiudo le orec­chie a ogni parola o rumore, eppure non ho nessuna realizzazione". L’Istruttore gli rispose: "Prova anche a tenere la bocca chiusa, a fare silenzio, non solo esterno ma anche interno". Infatti se noi ci osserviamo, ci accorgiamo che continuamente qualcosa in noi parla, ci sono continue voci dalle nostre sub-personalità, dal nostro inconscio, continui clamori interni; perciò non basta il silenzio esterno, mentre si può essere raccolti anche in mezzo ai rumori esterni.

La seconda fase è quella della meditazione vera e propria. Anzitutto meditazione sopra un tema formulato con una frase o indicato da una parola. Il suo primo stadio è la riflessione intellettuale, ma a questa segue qualcosa di più profondo e vitale. È un percepire, realizzare coscientemente la qualità, il significato, la funzione, il valore di quello su cui si medita, sì da sentirlo quasi vivere e agire in noi. Invece di parole si possono usare immagini, simboli, osservati ester­namente e visualizzati internamente.

Ancora più alto è lo stadio della contemplazione e di questa è difficilissimo, quasi impossibile, dire con parole in che cosa consiste; si può solo accennare che è uno stato di identificazione così intima con ciò che viene contemplato che si perde la coscienza di ogni dualità; è la fusione del soggetto e dell’oggetto in un’unità vivente. Quando poi non si usa alcun tema, la contemplazione è uno stato di perfetta calma, di silenzio interno, un ‘consistere’ nella pura coscienza di essere.

Allora si raggiunge con piena coscienza la regione e la sfera che normalmente è supercosciente. In questo stadio si può avere l’esperienza delle varie qualità, e delle attività psicospirituali che si svolgono nel supercosciente. Esse non sono qualcosa di astratto, di vago, di evanescente, come potrebbe ritenere chi non le conosce; sono qualcosa di vivo, d’intenso, vario, dinamico, che si percepisce come più reale delle esperienze ordinarie, sia interne che esterne. I suoi principali caratteri sono:

1- Una percezione di luce, una illuminazione, sia in senso generale, sia luce su problemi e situazioni di cui si rivela il significato.

2- Un senso di pace, di pace completa indipendente da qualunque cir­costanza esterna e stato interno.

3- Un senso di armonia e bellezza.

4- Un senso di gioia, di letizia: la letizia così bene espressa da Dante.

4- Un senso di potenza, della potenza dello spirito.

5- Un senso di grandezza, di vastità, di universalità, dell’eterno.

Tutte queste qualità s’interpenetrano, non sono separate l’una dal­l’altra e anche questo Dante l’ha detto mirabilmente.

Questa esperienza contemplativa così alta non può naturalmente essere permanente, ma anche dopo che è finita produce effetti, cambiamenti spesso profondi nella personalità ordinaria. Fra l’altro essa favorisce una graduale stabilizzazione del centro di coscienza personale e dell’area della coscienza normale a livelli via via un poco più alti; o tale area può arrivare a trovarsi quasi sulla linea di demarcazione (non di divisione, ma di distinzione) fra inconscio medio e supercosciente, in modo che la coscienza di veglia resta sempre illuminata in qualche misura.

Questo poi facilita e rende più frequente la discesa di intuizioni di ispirazioni. Il culmine, il simbolico arrivo alla vetta è l’unione del centro di coscienza personale col Sé spirituale. Faccio osservare che nello schema la ‘stella’ che rappresenta il Sé spirituale è tratteggiata in parte dentro e in parte fuori dell’ovale; questo indica che il Sé partecipa dell’individualità e dell’universalità, è in contatto con la Realtà trascendente.

Un altro effetto di queste esperienze è l’azione ispirata, l’impulso potente ad agire. Anzitutto esprimere, effondere, irradiare, far partecipi gli altri dei tesori scoperti e conquistati. Poi collaborare con tutti gli uomini di buona volontà, con tutti coloro che hanno avuto simili esperienze, a dissipare le tenebre d’ignoranza che avvolgono l’umanità, a eliminare i conflitti che la dilaniano, per preparare l’avvento di una nuova civiltà in cui gli uomini, lieti e concordi, attuino le meravigliose potenzialità latenti delle quali sono dotati.

di Roberto Assagioli

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Fonte: www.scienze-astratte.it

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