Spiritualità

DAT ROS MEL APIBUS

La rosa dà il miele alle api

La rosa è un simbolo veramente complesso, poiché racchiude in sé – più d’ogni altro fiore – significati tra loro totalmente contrastanti. È, infatti, ambivalente, potendo contemporaneamente significare perfezione celeste e passione terrena, tempo ed eternità, vita e morte, fecondità e verginità.

Secondo la superstizione popolare, molto diffusa soprattutto nel Medioevo, e che ha avuto una notevole influenza in molte leggende tipiche anche del nostro folclore, era il fiore che le streghe preferivano, in quanto ritenuto particolarmente idoneo a provocare il male, forse a causa della presenza sul suo stelo di molte spine; ma nel frattempo, era pure il fiore prediletto dalle fate, che se ne servivano spesso per recare felicità e benessere alle persone buone. In questa circostanza, così come in molte altre, la rosa sa concentrare significati in netto contrasto tra di loro, come odio ed amore, quasi che entrambi discendessero da un unico ceppo, o fossero due facce di una sola medaglia; a pensarci bene, non è poi tanto illogico, essendo entrambi dei sentimenti, delle passioni e queste, come sappiamo, non conoscono vie di mezzo. Nella vita umana, tanto per citare un esempio concreto, se un rapporto tra due persone termina in modo traumatico, non di rado all’amore e alla stima subentra in ambo le parti il disprezzo, l’odio, il rinfacciarsi reciproco di colpe e di difetti; e questi sono tanto più intensi e radicati quanto più forte era il legame affettivo che si è interrotto.

Tornando al nostro argomento, la rosa, possiamo affermare che questo fiore, forse anche per la sua struttura a forma rotonda (non dimentichiamo che in Occidente il cerchio era considerato sin dai tempi più antichi un modo per indicare la perfezione) è stato sempre reputato simbolo di completezza: rappresenta, infatti, la profondità del mistero della vita, la bellezza, la grazia, la felicità, ma anche la voluttà, la passione ed è perciò, spesso associato alla seduzione.

Essendo stato da sempre un fiore abbinato alle divinità femminili, esso è amore, vita, creazione, bellezza e verginità; la sua rapidità nell’appassire simboleggia, al contrario, morte e sofferenza, e le sue spine evocano, invece, il sangue ed il martirio.

Sempre per affinità al cerchio, ossia ad una cosa che non ha né inizio né fine, alla rosa si associa spesso un significato di sistematicità, di ciclicità.

Questo fenomeno, tuttavia, non si limita ad essere puramente periodico, ma presenta anche un suo progresso temporale, un suo divenire, un suo traslare nel tempo: come una ruota di bicicletta che, dopo un giro, ritorna sì nella posizione iniziale, ma in un luogo diverso da quello precedente.

La rosa è pertanto anche il simbolo del divenire e, per traslato, indica il perpetuarsi della vita umana da quella terrena verso un’altra dimensione a noi per il momento ignota, che i credenti chiamano aldilà e che trova il suo culmine, il suo compimento totale nella resurrezione.

Per questo motivo la rosa viene usata per raffigurare anche oltre alla vita eterna, la primavera che, se vogliamo, è un piccolo assaggio terrestre della resurrezione celeste che ci attenderà alla fine della nostra esistenza.

Tuttavia, anche chi non ha il dono della fede può facilmente riconoscere che tutta la nostra esistenza è continuamente attraversata da fasi cicliche: di alcune di loro – come ad esempio l’alternarsi delle stagioni – sappiamo la periodicità, ma di moltissime altre siamo all’oscuro.

Se, ad esempio, siamo malati o in condizioni critiche dovute a qualsivoglia causa, come possiamo determinare se e quando queste scompariranno per far di nuovo posto a periodi di gioia, di serenità, di ristabilimento della salute fisica? E, una volta raggiunto questo stato di benessere, non abbiamo forse paura che la ciclicità della nostra esistenza ci arrechi di nuovo momenti di disagio?

Comunque la si consideri, la nostra vita è composta da un alternarsi di cicli, e questo vale per ognuno di noi.

Nell’ambito dei fiori, per quanto detto prima, la rosa è quello che più d’ogni altro è in grado di rappresentare la periodicità degli avvenimenti umani che si svolgono nel corso della nostra vita. È inoltre simbolo di silenzio e di riservatezza: una rosa era infatti appesa o raffigurata, nelle sale di consiglio per indicare riserbo e discrezione.

Per questo motivo papa Adriano VI fece scolpire sui confessionali una rosa a cinque petali, simbolo del sacro vincolo della segretezza che ogni sacerdote deve mantenere nei riguardi dei penitenti che si rivolgono a lui nella confessione, e la locuzione latina “sub rosa” aveva appunto il significato di una cosa rivelata in assoluta segretezza e confidenza.

La rosa d’oro denota la perfezione.

La rosa rossa il desiderio, la passione, la gioia, la bellezza, il rapporto sessuale; è il fiore di Venere e il sangue di Adone e di Cristo.

La rosa bianca è il fiore della luce; simboleggia l’innocenza, la verginità, lo sviluppo spirituale, il fascino.

La rosa bianca e rossa insieme rappresentano l’unione di fuoco ed acqua, una specie di unione degli opposti, mentre quella azzurra è il simbolo dell’impossibile.

La rosa a quattro petali raffigura la divisione in altrettanti parti del cosmo (terra, acqua, fuoco e cielo), in altre parole gli elementi che nell’antichità alcuni filosofi consideravano primordiali e dai quali traeva origine tutto il creato. La rosa a cinque petali rappresenta invece il microcosmo.

La Rosa dei Venti è raffigurata sotto forma di un cerchio che racchiude una croce doppia indicante le quattro direzioni cardinali e quelle intermedie; in essa sono quindi presenti contemporaneamente i simboli del cerchio, del centro, della croce e dei raggi della ruota solare. Lo stesso concetto può estendersi anche al rosone.

LA ROSA NELLA TRADIZIONE CRISTIANA

Vediamo ora che cosa questo fiore rappresenta simbolicamente per le principali religioni della terra, iniziando con quella cristiana. Nell’iconografia cristiana, questo fiore, per la sua bellezza e fragranza, viene adoperato per indicare il ParadisoInoltre la rosa bianca è sinonimo d’innocenza, di castità e di purezza e, per traslato, è uno dei modi in cui si rappresenta la Vergine Maria, anche se in alcuni racconti – non appartenenti però alla cultura occidentale – è uno dei modi con cui può essere raffigurata la morte.

Al contrario, la rosa rossa è il simbolo della carità che, se spinta fino ai limiti estremi, può anche portare al martirio. Non a caso, infatti, una leggenda d’ispirazione cristiana vuole che il suo colore rosso sia stato generato dal sangue di Cristo sulla Croce. Ha pertanto anche il significato simbolico delle piaghe del Cristo dalle quali sgorgò il Suo Sangue per la redenzione dell’umanità. Le rose di color rosato sono l’emblema del Bambino Gesù, mentre quelle gialle quello dei Re Magi.

Possiamo osservare che la rosa assume significati fortemente contrastanti: passione e morte, gloria e resurrezione, in altre parole la vita eterna.

Nella religione cristiana queste entità costituiscono tuttavia, pur nella loro palese contrapposizione, un’unità inscindibile: infatti, non si può ottenere la resurrezione se non passando per la morte e non si può raggiungere la gloria se non transitando attraverso la passione.

La rosa è, dunque, il fiore che più d’ogni altro si presta a rappresentare metaforicamente gli eventi cardini della religione cristiana. Viene anche usata per ricordare il Sacro Graalossia la Coppa che, secondo la tradizione, fu adoperata da Gesù Cristo durante l’Ultima Cena.

La Chiesa stessa è talvolta indicata nella Bibbia come Rosa di Sharon: le sue spine sono i peccati di cui essa si è macchiata nei secoli e, più in generale, quelli di tutti i credenti, mentre la rosa senza spine o Rosa Mistica è un altro titolo con il quale viene lodata la Vergine Maria, proprio per mettere in evidenza il Suo concepimento senza peccato originale (quindi senza spine).

La rosa d’oro – oltre alla perfezione ed all’incorruttibilità – è anche un simbolo del pontefice romano e quindi, per traslato, anche di Cristo, di Cui egli è il Vicario in terra. Papa Urbano II38– nel 1096, benedisse per la prima volta una Rosa d’Oro in occasione di una cerimonia, che si svolgeva fino a non molto tempo fa nella quarta domenica di Quaresima (detta per l’appunto Domenica delle Rose Domenica Laetare), considerata una sosta di giubilo nel cammino della penitenza che conduce il popolo cristiano alla celebrazione della Pasqua. Il Papa benediceva un fiore finto fatto di materiale aureo e detto appunto Rosa d’Oro, per farne dono ora ad alcune autorità civili (come il Prefetto di Roma), ora a qualche principe cattolico in segno di predilezione. Come fecero Urbano V che la assegnò nel 1367 alla regina di Sicilia Giovanna, Pio IX, che nel 1867 la donò alla regina di Spagna Isabella II.

Papa Pio XI infine, regalò la Rosa d’Oro all’allora regina d’Italia Elena di Savoia, in occasione della firma del Concordato tra la Santa Sede e lo Stato Italiano. Prima dell’avvento del Cristianesimo, tra il mese di Maggio e quello di Luglio, si tenevano nell’antica Roma delle festività denominate Rosalie, e la Pentecoste, grazie anche alla sua collocazione indissolubilmente legata alla Pasqua, e quindi al periodo primaverile, prese in un certo senso il posto di queste ricorrenze pagane, così come avvenne anche per il Natale, per la cui celebrazione si scelse il 25 Dicembre, giorno nel quale si celebrava la festività del Sole Invitto.

Fino ad alcuni secoli orsono, in occasione della festa di Pentecoste, era costume far piovere sui fedeli, durante la celebrazione della Santa Messa, petali di rose e batuffoli di stoppia accesi, per ricordare che il manifestarsi dello Spirito Santo sugli apostoli avvenne attraverso la discesa di lingue di fuoco, simili appunto a petali di rose. Per tale ragione, la Pentecoste viene anche chiamata Pasqua delle Rose Pasqua Rosata. Secondo il monaco Beda la tomba, dove Cristo fu collocato una volta deposto dalla croce, era dipinta di rosso e di bianco, dei due colori che, mescolati insieme, formano il rosa; anche in questo caso, come possiamo notare, c’è una perfetta commistione, una sintesi totale di due colori che rappresentano di per sé sentimenti opposti, contrastanti e la cui sintesi trova la sua più totale realizzazione proprio nel rosa, inteso sia come colore sia – in senso lato – come sostantivo.

LA ROSA NELLA TRADIZIONE ISLAMICA

Come nel mondo cattolico la rosa simboleggia il sangue del Cristo, così in quello islamico rappresenta il sangue di Maometto, il suo profeta.

Nella Rosa di Baghdad il primo cerchio rappresenta la Legge, il secondo il Cammino, il terzo la Conoscenza e tutti e tre i cerchi insieme raffigurano la Verità ed il nome di Allah. Anche in questo caso vi sono molte analogie simboliche tra le due religioni monoteiste.

Sa’di (1184 circa – 1291 circa), mistico musulmano, fu uno dei più importanti poeti persiani; questo non è quasi sicuramente il suo nome reale, bensì il titolo con il quale venivano all’epoca chiamati i saggi ed i filosofi, e potrebbe essere l’analogo di Maestro, appellativo con il quale i cristiani chiamano talvolta Nostro Signore.

Nell’opera da lui scritta “Il Roseto” – in lingua originale Golestàn – l’autore definisce il giardino delle rose come il luogo dove si raggiunge il grado più alto della contemplazione. Questa opera è molto nota nella letteratura persiana; la sua ricchezza di simbolismi e l’importanza che ebbe per la diffusione della cultura e della lingua musulmana nei secoli successivi, la rende paragonabile alla nostra Divina Commedia scritta neanche un secolo dopo.

È sostanzialmente un importante documento che illustra la vita politica, sociale e religiosa di quel periodo nel mondo persiano, nel quale sono descritti con minuziosa cura i personaggi dell’epoca, dai principi agli schiavi, dai dignitari di corte ai ladri.

In definitiva, uno spaccato della vita quotidiana, filtrata però attraverso l’occhio benevolo di un saggio che, avendo appunto visto e sperimentato di tutto nella sua esistenza, valuta quello che lo circonda con una certa indulgenza ed in maniera abbastanza bonaria.

Il carattere dello scrittore che traspare da quest’opera è quello di un uomo ricco di doti morali, che tende a giudicare con moltissima prudenza tutto ciò che succede intorno a lui, senza emanare giudizi severi ed inappellabili anche nei riguardi di coloro che agivano disonestamente, ma sforzandosi di trovare anche in loro del bene e dei valori morali. Sotto questo punto di vista si può affermare che fosse più che giustificato l’appellativo di saggio che gli fu unanimemente riconosciuto.

Nel mondo egiziano le rose erano fiori sacri alla divinità Iside, poiché rappresentavano l’amore puro del tutto liberato dall’aspetto carnale; ma è nel mondo greco-romano che il culto della rosa ha trovato maggiore sviluppo.

LA ROSA NELLA GRECIA CLASSICA

Presso i Greci la divinità Aurora è spesso chiamata – tra gli altri da Mimnermo, poeta lirico dell’antica Grecia, vissuto tra il VII ed il VI secolo a.C. ed Omero – “La dea dalle dita di rosa” (rododaktulos), proprio perché associata al sorgere del sole. Saffo, invece, dà questo attributo alla luna. Limitandoci per questione di spazio e di tempo al solo campo della lirica, notiamo frequenti riferimenti alla rosa da parte di poeti e di lirici appartenenti a varie epoche e di stili letterari diversi: dai bellicosi Omero, Mimnermo ed Alceo ai più idilliaci Ibico, Teocrito ed Asclepiade, poeta esaltatore dell’amore.

Secondo Anacreonte le rose sono profumo per gli dei e gioia per gli uomini.


Nessun poeta greco, tuttavia, amò questo fiore più di Saffo; la quale predilige più d’ogni altro tutto ciò che è delicato, e paragona a questo fiore la bellezza delle fanciulle. Costei, inoltre, intitola “Le rose della Pieria” una sua composizione, volendo con questo identificare l’intera sua poesia con il suo fiore prediletto. Presso gli antichi Greci, la rosa è il simbolo della gioia, della bellezza, dell’amore e del desiderio; era il simbolo della dea Afrodite, veniva coltivata nei giardini funerari ed era spesso ornamento di tombe, per garantire al defunto il raggiungimento dell’immortalità nell’altra vita.

Corone di rose adornavano poi le statue del dio Dioniso ed erano anche al collo delle sue scatenate seguaci, le Baccanti. Dioniso era, fra l’altro, il dio del vino e ghirlande di rose cingevano coloro che partecipavano ai banchetti in onore di questa divinità, proprio perché si credeva che tale fiore era in grado di tenere lontano gli effetti negativi – come ad esempio il mal di testa – che un abuso di questa bevanda poteva provocare, od anche perché si riteneva che aiutasse le persone ubriache (molto comuni tra i seguaci di questa divinità) a non rivelare i segreti di cui erano a conoscenza e che sotto l’influsso della ebbrezza avrebbero potuto esternare.

Fu molto probabilmente anche per questo motivo, che la rosa è poi diventata simbolo della riservatezza.

Con la rosa erano poi raffigurati il dio Helios e le Muse oltre alla già citata Eos, dea dell’aurora.

LA ROSA NELLA ROMA LATINA

Anche presso gli antichi Romani la rosa rivestì una notevole importanza; così come presso i Greci, era uno dei fiori con il quale venivano adornate le tombe.

Ciò avveniva principalmente in cerimonie chiamate Rosalia che avevano luogo, secondo la località in cui erano svolte, in un periodo compreso tra il mese di Maggio e quello di Luglio; in questi riti si offrivano delle rose ai Mani, le anime dei defunti ritenute divinità protettrici del focolare domestico. Anche la dea degli inferi, Beate, veniva talvolta raffigurata con una corona di rose sul capo.

Era poi consuetudine gettare petali di rose al passaggio dell’imperatore ed era fatta di rose la corona che egli portava sul suo capo. Il poeta latino Decimo Magno Ausonio associa alla rosa la fugacità della vita; in un suo idillio egli recita: “Uno sola giornata comprende la vita della rosa; essa in un solo attimo congiunge la giovinezza e la vecchiaia”, riprendendo il motivo del carpe diem oraziano ed anticipando temi che troveranno ampio spazio nel Rinascimento.


Anche molte iscrizioni funebri riprendono questo tema; ne sono state trovate alcune, deposte soprattutto per ricordare chi era defunto in età giovanile, con scritto: “Nacque e subito morì, proprio come una rosa”. Nel romanzo “L’Asino d’oro” di Lucio Apuleio, la dea Iside promette a Lucio, trasformato da un maleficio in un asino, di farlo ridiventare uomo durante una processione dedicata alla dea, non appena costui avesse mangiato una corona di rose che il sacerdote di Iside gli avesse consegnato.

Si riteneva, quindi, che la rosa fosse dotata di poteri magici e che fosse alla base di ogni processo di rigenerazione che riguardava l’essere umano.

Questo è anche testimoniato dall’affinità del termine latino rosa con quello ros che sta ad indicare pioggia, rugiada, elementi indispensabili allo svilupparsi ed all’evolversi della vita sulla terra. A proposito di quanto ora detto, è abbastanza singolare che il nome rosa sia comune in quasi tutte le lingue europee, con piccole varianti: die Rose in tedesco; rose in francese, danese, inglese; rosa in spagnolo, italiano ed ancor prima in latino; roza in ungherese; ros in svedese; royz in yiddish, solo per citarne qualcuna.

Trattandosi sia di lingue derivate dal latino che da altri ceppi, possiamo a ben ragione affermare che questo fiore abbia diritto di essere considerato un elemento unificatore del nostro continente. Nell’alchimia e nelle scienze magiche in genere, la rosa bianca e quella rossa sono ritenute gli elementi primordiali di cui si ritiene composta la materia esistente: la prima come sostanza “volatile” e la seconda come ingrediente “in combustione”. Secondo questa teoria, la pluralità delle forme della materia è da attribuirsi proprio ad un diverso rapporto tra le due sostanze base.

SIMBOLOGIA DELLA ROSA

L’unione tra la rosa e la croce – oltre ad essere alla base della figura del rosone – è il simbolo dei Rosacroce, setta di impronta evangelica che nacque in Germania nel XVII secolo, per diffondersi successivamente in Francia. Il loro nome deriva da un adepto della setta, il cavaliere tedesco Kristian Rosenkreuz, vissuto nel secolo XV, la cui tomba venne scoperta in Marocco. I “Rosacrociani”, che si vantavano di predire l’avvenire e di poter guarire malati incurabili, avevano per simbolo una rosa a cinque petali posta al centro di una croce.

Questo emblema ricalca, peraltro, quello di Martin Lutero . Nel mondo della massoneria la rosa riveste un’importanza fondamentale; durante il funerale di un “fratello” è, infatti, costume gettare nella tomba tre rose di colore diverso, dette Rose di San Giovanni che significano amore, luce e vita. Il 24 Giugno, giorno della festività di San Giovanni è consuetudine decorare gli interni di ogni loggia massonica con tre rose di diverso colore. Anticamente i Germani eseguivano in onore della divinità Ziu (l’equivalente del dio Marte) la “Danza della spada”, nella quale veniva simulato un combattimento tra giovani ballerini. Costoro, al termine della danza, univano le punte delle loro spade in modo da formare una rosa, e portavano in trionfo il corifeo, ossia colui che aveva guidato il ballo propiziatorio.

Sempre nella cultura tedesca – soprattutto nella poesia popolare – la frase Im Rosengarten sein” (Essere nel Giardino delle rose) ha un doppio ed opposto significato, uno dei quali indica l’amore casto e puro, l’altro, invece l’amore in senso passionale, biblico, che deriva da un rapporto carnale: un altro esempio della dualità che questo fiore è capace di concentrare in sé.

Nel mondo cinese la rosa non riveste quella importanza simbolica che ha invece nelle nostre latitudini; essa viene il più delle volte associata alla gioventù, in ogni caso mai all’amore. Nel campo dell’araldica le rose sono di solito raffigurate in maniera stilizzata, con cinque, sei oppure otto petali. Tra gli emblemi dove questo fiore viene raffigurato, ricordiamo quelli già citati delle casate dei Lancaster (rosa rossa) e degli York (rosa bianca) , dei Tudor (rosa con petali bianchi striata di rosso), dei principi tedeschi di Lippe, dei conti di Altenburg. Infine, tra le città nei cui stemmi appare questo fiore, ricordiamo quella inglese di “Southampton” (una rosa rossa e due bianche), e quella tedesca di Lipstadt.


Tratto da: Corrado Colafigli e Maurizio Saudelli – Spigolando tra le Rose
Fonte: las0rgente.net

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Un commento

  1. Bella descrizione, ottimo articolo, sarebbe solo da rivedere il termine “setta” riferito ai RosaCroce, ahimè usato impropriamente. Non è setta oggi e non lo era al momento della sua nascita, bisognerebbe andare a comprendere il significato della parola per capire che l’abbinamento non è corretto. Grazie per l’articolo.

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