Spiritualità

Raperonzolo: Sole e Luna alchemici

La ricomposizione del Maschile e del Femminile
nella fiaba di Raperonzolo

~ di Francesca Piombo ~

“Dissolvi allora Sol e Luna nella nostra acqua amica
come se fosse un utero, una madre,
l’origine e la fine della vita.
Così potranno essere nuovamente generati
e rinascere più sani, più nobili e più forti”.

(Ricetta alchemica)

 


La ricomposizione della parte maschile con quella femminile della psiche, nonché il valore e l’importanza primaria che gli Alchimisti davano ai due archetipi Sole/Oro e Luna/Argento nella creazione della Pietra Filosofale, possono trovare un riscontro nella fiaba dei Fratelli Grimm: Rapunzel, Raperonzolo, metafora della necessità della spinta individuale a riunire dentro di sé le parti fondanti del proprio Sé perché si compia l’individuazione.

Carl Gustav Jung, Padre della Psicologia Analitica, oltre alla presenza dell’inconscio personale all’interno della psiche teorizzata da Sigmund Freud, aveva ipotizzato anche un inconscio collettivo o sovrapersonale, un substrato psichico innato e rintracciabile in tutti gli individui fin dall’infanzia, che affonda le sue radici nella notte dei tempi e che rappresenta la comune eredità del genere umano: “L’inconscio personale poggia su di uno strato più profondo che non deriva da esperienze o acquisizioni personali, ma è innato”.

Si tratterebbe di una specie di “pozzo”, una “fonte psicologica” dove si sono stratificate a partire dai primordi della vita le esperienze del genere umano, le modalità originarie del comportamento, istinti arcaici e spontanei che Jung chiamavaArchetipi; questi modelli comportamentali, opposti e paradossali, ma anche ricchi di una potente energia dall’alto valore trasformativo, sono “predisposizioni latenti che conducono verso identiche reazioni” ed incidono potentemente sull’inconscio personale nonostante la barriera razionale della coscienza, a tal punto da condizionare anche le scelte che la persona farà a livello individuale nell’età matura, al di là di ogni differenza di cultura, stato sociale, appartenenza etnica, razza e religione.

Questo implica anche che l’inconscio collettivo non sia assoggettato a regole spazio-temporali, a tal punto che l’uomo, nell’entrare in contatto con questa dimensione psichica, può trascendere la sua storia personale ed agganciarsi direttamente alla storia di tutta l’Umanità.

Ed è questo il motivo per cui i miti, le fiabe, le leggende ed i riti dei popoli più antichi, precedendo la storia stessa, hanno tutti una matrice universale che li accomuna e che può essere attivata e contattata dall’individuo, attraverso la funzione simbolica della mente, la Funzione Trascendente junghiana.

L’Animus e L’Anima

Tra gli archetipi fondanti presenti nell’inconscio collettivo, troviamo il “Maschile” e il “Femminile”, che ospitano a loro volta altri archetipi con caratteristiche più specifiche: il “Maschile” contiene per esempio l’archetipo del “Padre” ed il “Femminile” quello della “Grande Madre”, così come basilari sono i due archetipi di “Animus” ed “Anima”, nonché di “Luce” ed “Ombra”.

L’ “Animus” è un archetipo attivo che esprime la parte maschile della psiche, quella che ragiona, propone, agisce e lotta per conquistare ciò che vuole, (in Astrologia è rappresentato dal Sole e dai pianeti così detti maschili), così come l’ “Anima” è un archetipo ricettivo e percettivo, è la parte femminile della psiche, quella che vuole dipendere e creare legami affettivi, che vuole emozionarsi e relazionare (in Astrologia è rappresentata dalla Luna e dai pianeti così detti femminili).

Ai due archetipi Jung dava una valenza compensatrice. Riteneva infatti che le caratteristiche non assimilate ai tratti esteriori della personalità, femminili nell’uomo e maschili nella donna, spingessero la psiche individuale a trovare una compensazione attraverso queste due opposte funzioni che avevano così lo scopo di migliorare l’adattamento dell’individuo alla realtà esterna, ai suoi ideali coscienti e alle sue aspirazioni.

In particolar modo, l’ Animus è la componente inconscia maschile della personalità della donna, un’immagine portatrice di luci ed ombre, che lei imparerà a conoscere di volta in volta a seconda degli incontri che farà nella vita e che le rifletteranno una particolare dose d’energia maschile che ancora non conosce di sé e con cui vorrà entrare in contatto.

Allo stesso modo, l’ Anima è la componente inconscia femminile della personalità dell’uomo, anch’essa portatrice di luci ed ombre; lui la incontrerà all’esterno nelle figure femminili della sua vita, fin quando non imparerà a viverla in prima persona, accettandola anche nelle sfumature più negative ed inquietanti. Per questo motivo i due archetipi sono anche esemplificativi del modello ideale di uomo e di donna, forgiati nell’infanzia sulle luci e le ombre paterne e materne, a cui l’uomo e la donna tenderanno e da cui saranno naturalmente attratti per esprimere e scambiare amore, ma anche per illuminare una parte della loro natura che altrimenti rimarrebbe inconscia.

Ai due archetipi, Jung assegnava poi un’ulteriore valenza perché collegava l’Animus al principio maschile di “Logos”, messo in relazione alla capacità che c’è nell’individuo di risolvere ogni situazione attraverso il ragionamento e la parola e l’Anima al principio femminile di “Eros” e quindi alla capacità di relazionare, di entrare in empatia e riconoscere il valore dei sentimenti, ma anche di saper cogliere il senso profondo e ciclico della vita.

Si tratta quindi di due archetipi basilari nella struttura della psiche; in particolare l’Anima veniva definita da Jung “l’archetipo della vita”, perché è dall’Anima, strettamente collegata all’inconscio che dipende direttamente la possibilità di dare senso a tutto ciò che la ragione/Logos sceglie e di trovarvi la successiva soddisfazione. La funzione primaria dell’Anima, legata alla coscienza matriarcale, è di permettere il contatto con l’inconscio che resterebbe inaccessibile all’Io se si dovesse servire solo della coscienza razionale, che è prettamente patriarcale.

Scrive a tal proposito il filosofo berlinese Erich Neumann nel suo “La psicologia del femminile”: “Il contatto con l’inconscio si può ristabilire attraverso l’Anima, suo lato femminile e attraverso la realizzazione della coscienza matriarcale ad essa congiunta. La sintesi di una nuova conoscenza illuminata, frutto dell’unione tra maschile/Anima e femminile/Animus è simbolo di completamento e fecondazione reciproca ben rappresentati nella scrittura cinese con il segno Ming, ovvero fusione tra sole e luna”.

L’Anima junghiana quindi, non ha alcuna valenza collegata ai dogmi o alle confessioni religiose; l’Anima junghiana, il femminile transpersonale, è energia allo stato puro, non inquinata da alcun condizionamento esterno perché espressiva di quanto di più vivo, autentico e spontaneo c’è nella psiche. E’ grazie all’Anima che possiamo entrare in contatto con la nostra ispirazione creativa, le nostre profondità emotive, le passioni intense e partecipare del flusso delle emozioni e delle percezioni, aprendo la porta ad un mondo immaginativo più sensibile ma proprio per questo più aderente alla totalità della realtà.

Sebbene Jung abbia sempre considerato l’Anima come requisito specifico dell’inconscio dell’uomo, si può comprendere come l’archetipo, se pur strettamente femminile, sia vivo e presente anche nella donna, già naturalmente portata ad incarnare le funzioni dell’Anima perché in contatto stretto col principio di “Eros”.

E’ per questo che “il problema dell’Anima individuale” è stato poi ripreso, ripensato e messo a fuoco dai filosofi neojunghiani come Murray Stein e ancor più James Hillman; è a loro che si deve la precisazione per cui l’Anima è presente tanto nell’uomo che nella donna e di come proprio alla donna sia affidato il compito di custodire e mantenere sacro il suo valore, facendo da “ponte” all’uomo perché egli impari a dialogare con la propria parte emotiva, impari a conoscerla e a non delegarla alle figure femminili della sua vita. E’ l’Anima che spinge l’uomo verso la conoscenza della sua totalità, è l’Anima che gli infonde coraggio, così come nei miti e nelle fiabe è l’Anima/Principessa che si aspetta il tutto e per tutto dall’eroe che la deve liberare: s’aspetta che sia intelligente, coraggioso, capace di vincere sulle forze più oscure, di battersi con il magico e l’invincibile, perché la ricompensa sarà quella parte di sé che non conosce, la parte femminile, la culla della sua sensibilità.

Di contro, la donna non può sottrarsi dal conoscere, coltivare e difendere le qualità della sua Anima, radice del suo stesso “essere donna”, così come dal servirsi delle qualità maschili del suo Animus, lo Spirito/Logos che è dentro di lei e che non può essere espresso con le modalità proprie dal mondo maschile. All’azione ragionata, all’intelligenza e alla parola, la donna dovrà aggiungere il buon senso che è specifica peculiarità del suo essere donna, della saggezza interiore che le ha donato la vita.

Interessandomi di Astrologia, ho trovato nell’intuizione di Hillman, le radici stesse dell’Astrologia Umanistica: così come il Sole astrologico simboleggia il riassunto delle qualità prettamente maschili dell’Animus, collegate al “Logos” ed alla razionalità, altrettanto la Luna simboleggia il riassunto delle qualità femminili, quelle che fanno capo all’Anima e al suo valore di “Eros”; tanto quanto il Sole ragiona, agisce, conquista, altrettanto la Luna sente, si emoziona, partecipa.

Dalla giusta integrazione di questi archetipi, maschile/femminile, Animus/Anima, Sole/Luna e tutte le altre coppie di opposti che scindono la psiche, dipende la possibilità di condurre in pienezza la propria esistenza, attuando le scelte giuste per la propria evoluzione e scambiando in maniera paritaria e sana non solo con l’altro, ma soprattutto con la propria interiorità.

Raperonzolo

La fiaba “Raperonzolo” dei Fratelli Grimm può ben rappresentare questa ricerca d’integrazione, della volontà che le parti opposte ma complementari della psiche, in particolar modo il maschile ed il femminile, possano riunirsi e trovare una conciliazione.

Questa la fiaba nella versione più famosa:

“C’erano una volta un uomo e una donna che già da molto tempo desideravano invano un figlio, quando finalmente la donna scoprì di essere in attesa. Sul dietro della loro casa c’era una finestrina, da cui si poteva guardare in un bellissimo giardino, pieno di splendidi fiori, circondato però da un alto muro, nessuno osava entrarvi, perché apparteneva ad una strega potentissima e temuta da tutti: la signora Gothel. Un giorno la donna stava alla finestra e guardava il giardino oltre il muro, quando vide un’aiuola dov’erano coltivati i più bei raperonzoli che avesse mai visto; le apparivano cosi freschi e verdi che le fecero gola e le venne una gran voglia di mangiarne uno. La voglia cresceva ogni giorno e la donna, sapendo che non poteva averne, quasi si consumò dal desiderio ed assunse un aspetto pallido e deperito”.

Dal punto di vista archetipico e simbolico, le figure femminili e maschili delle fiabe sono le parti Anima ed Animus che aspirano a riunirsi, sia quelle preposte alla funzione “Eros”, che dovrebbe spingere la mente verso l’accoglienza e l’accettazione dell’altro che quelle collegate alla funzione “Logos”, che spingono verso la linearità e la coerenza del pensiero.

La madre di Raperonzolo, archetipo ed espressione dell’Anima/Eros non ancora trasformati, nutre dentro sé un desiderio/ossessione che, proprio perché difficile da realizzare, si fa avidità; un punto focale d’energia potentissima che inonda la psiche e taglia fuori qualsiasi altro interesse, a tal punto da fare della donna una “rapita”, totalmente presa da quest’ossessione ed incapace di darsi un limite.

La presenza del muro che separa due distinte realtà simboleggia la separazione che esiste tra il mondo cosciente dell’Io ed il mondo dell’inconscio collettivo, in cui si originano le immagini arcaiche e le emozioni primordiali innate, contrarie ed indifferenziate, che salgono alla coscienza individuale per costringere la mente a trovare il giusto equilibrio tra di loro, senza che l’una abbia il sopravvento sull’altra e la metta a tacere.

“Il marito che l’amava molto si allarmò ed interrogata la moglie su cosa l’angustiasse, venne a sapere del suo desiderio di raperonzoli, della sua brama per mangiarne uno: “Ah, se non riesco a mangiare di quei raperonzoli che sono nel giardino dietro casa, ne morirò”. Fu così che il marito al crepuscolo scavalcò il muro, entrò nel giardino della strega, colse in tutta fretta una manciata di raperonzoli e li portò alla moglie, che ne mangiò avidamente. Ma non se ne saziò: il giorno dopo la sua voglia era triplicata e l’uomo dovette andare un’altra volta nel giardino. Scavalcò di nuovo il muro, ma quando mise piede a terra si spaventò terribilmente perché gli si parò davanti la strega, la signora Gothel, che s’indignò per il furto subito”.

Il padre di Raperonzolo è quindi il simbolo della parte Animus che collude con l’irrazionalità di quella Anima a causa di un principio di Eros che si è fatto malsano; le distorsioni dell’Eros hanno sempre delle basi infantili molto dolorose, delle ferite aperte che stentano a guarire e che continuano ad impedire che l’individuo bilanci ed integri gli opposti dentro di sé senza ricorrere alla proiezione, quando la riconciliazione del maschile e del femminile interni potrebbe essere la giusta e coraggiosa risposta all’interruzione del dominio che Animus ed Anima hanno sulla persona, perché ne condizionano le scelte e di conseguenza la qualità della vita anche nell’età matura.

“La strega s’infuriò molto con l’uomo perché aveva osato oltrepassare il muro e rubare i suoi raperonzoli e fu a quel punto che lui le rivelò la malattia della moglie ed il rischio che lei ne potesse morire. La strega allora gli permise di portar via tutti i raperonzoli che voleva ma ad una condizione: avrebbero dovuto consegnarle il bambino, una volta che fosse nato; lei gl’avrebbe fatto da madre, l’avrebbe cresciuto e trattato molto bene. Impaurito, l’uomo accettò e quando la moglie partorì, apparve subito la strega, chiamò la bimba Raperonzolo e se la portò via. Raperonzolo diventò la più bella bambina del mondo, ma non appena compì dodici anni, la strega la rinchiuse in una torre altissima che non aveva né scala né porta, ma solo una minuscola finestrella in alto. Da lì, Raperonzolo s’affacciava, quando la maga la chiamava e voleva entrare: “Raperonzolo, Raperonzolo, metti fuori il tuo codinzolo.” A quel punto, la fanciulla scendeva la sua treccia e la strega vi si arrampicava svelta, entrando nella torre”.

Siamo qui di fronte ad un’altra figura archetipica molto frequente nelle fiabe, la maga o la strega, che incarna una duplicità in cui si mescolano gli opposti, così come li troviamo nell’archetipo della Grande Madre. Infatti, la maga/strega può essere una figura che nutre e protegge come la Madre Amorosa, parte luce della Grande Madre e allo stesso tempo può farsi divorante e castrante come la Madre Terribile, la sua parte ombra non ancora integrata.

La strega di Raperonzolo è ambivalente come tutti gli archetipi; infatti, si fa nutrice e nello stesso tempo carceriera della fanciulla, perché l’alleva con amore ed ogni cura come se fosse sua figlia, ma poi la confina nella torre, bloccando ogni spinta all’indipendenza, ma anche al desiderio, all’azione e all’espressione di sé. Dal punto di vista psicologico, una parte della personalità rimane “murata”, dipendente e inerte, incapace di fare esperienze personali e quindi di crescere grazie all’elaborazione dell’esperienza fatta.

La strega può essere quindi associata al bisogno di intorpidimento della parte femminile della psiche per difendersi dal dolore e dalla sofferenza che la rivelazione del mondo numinoso dell’inconscio potrebbe generare, ma è anche il simbolo della necessità individuale di andare oltre le proprie immagini archetipiche affrontandone l’Ombra e trasformando il lato distruttivo e caotico in materno e soccorrevole, perché è stato riconosciuto ed accettato nella sua parte inferiore.

“Dopo qualche anno, avvenne che il figlio del re, cavalcando per il bosco, passò vicino alla torre. Udì un canto cosi soave che si fermò ad ascoltarlo: era Raperonzolo, che nella solitudine passava il tempo cantando. Subito il Principe cercò di salire ma non trovò una porta che gli permettesse di entrare, tornò a casa ma quel canto l’aveva profondamente commosso finché, un giorno, mentre se ne stava dietro un albero, vide avvicinarsi la strega e scoprì il suo sistema per entrare. Alla richiesta di far scendere i capelli infatti, Raperonzolo sciolse la treccia e la strega vi si arrampicò. “Se questa è la scala per cui si sale, tenterò anch’io la fortuna” pensò il Principe e tornato il giorno seguente, ripeté la formula magica che aveva sentito pronunciare dalla signora Gothel: “Raperonzolo, Raperonzolo, metti fuori il tuo codinzolo”. Subito dall’alto si snodarono i capelli e il Principe salì”.

La figura del Principe è certamente una rappresentazione dell’Animus positivo della psiche, quello che non esita a mettere in moto una serie di azioni coraggiose per permettere che coscienza e inconscio entrino in contatto e si possa avviare l’opera d’integrazione. A differenza del padre di Raperonzolo, che nel consegnare la figlia alla strega simboleggia la parte inferiore e negativa dell’Animus che svende i suoi tesori per paura e mancanza di fiducia nella vita, il Principe ha una funzione superiore: rappresenta la particolare abilità della mente di destreggiarsi nel mondo dell’inconscio, non solo con coraggio e determinazione, ma anche con mezzi che si possono fare poco corretti quando siano troppo forti e radicati i meccanismi razionali di difesa che sbarrano la porta a quel mondo sconosciuto. Infatti, lui non rivela a Raperonzolo di aver visto la signora Gothel e di essere riuscito a salire grazie all’espediente da lei usato.

“Dapprima Raperonzolo ebbe una gran paura quand’egli entrò, perché non aveva mai visto un uomo; ma il Principe cominciò a parlarle con dolcezza e le narrò che il suo cuore era stato rapito dal suo canto al punto da non potersi più separare da lei. Si accordarono così di vedersi ogni sera, il Principe le avrebbe portato della seta con cui lei avrebbe creato una scala che le sarebbe servita per lasciare la torre e fuggire con lui. La maga non si accorse di nulla, fin quando Raperonzolo le chiese: “Ditemi, signora Gothel, come mai siete tanto più pesante da tirar su del giovane Principe? Lui sale in un attimo!”, “Ah, bimba sciagurata! gridò la maga, pensavo di averti separata da tutto il mondo e invece tu mi hai ingannata!”. Furibonda, afferrò i bei capelli di Raperonzolo, li avvolse due o tre volte intorno alla mano sinistra, afferrò con la destra un paio di forbici e li tagliò, ma la sua punizione non si limitò a questo perché con una magia fece ritrovare Raperonzolo in un deserto, dove la fanciulla dovette vagare per molto tempo tra mille stenti, fin quando diede alla luce due bellissimi gemelli, un maschio ed una femmina”.

L’incontro tra la parte femminile Anima e quella maschile Animus è una necessità imprescindibile della psiche di ogni individuo ed assume un valore fondamentale nel percorso d’individuazione della donna, naturalmente spinta ad esprimere innanzitutto il principio di “Eros”, ma non dimentica della ricchezza ed importanza del suo “Logos”, del suo Spirito creativo.

L’Animus nella donna

Abbiamo visto come l’Animus nella donna abbia una componente collettiva che riassume l’esperienza del femminile col maschile espressa lungo il corso della storia ed una componente individuale che si è strutturata nell’Io nascente della donna attraverso la relazione con le figure maschili del suo habitat più ristretto, innanzitutto il padre, un fratello, o le altre figure maschili che facevano parte del suo mondo di bambina.

E’ così che il Padre, il Salvatore, il Guerriero, il Puer, l’Eroe, il Briccone e il Santo, nonché gli altri archetipi maschili dell’inconscio collettivo sono aspetti dell’Animus della donna, che lei è invitata dalla psiche a scoprire e dai quali sarà attratta attraverso gli uomini con cui relazionerà, per illuminare spicchi della sua natura inconscia che altrimenti resterebbero oscuri. E, se in un primo momento ed almeno fino ai trent’anni la donna sarà portata a vivere l’Animus attraverso la proiezione delle sue caratteristiche solari ed attive sul padre e le figure maschili della sua vita, gradualmente e grazie alla naturale tendenza della psiche ad andare verso la completezza, riuscirà anche a distinguere quanto dell’Animus proiettato le appartiene, e cioè quanto vorrà confermare perché risponde a caratteristiche attive a cui non intende rinunciare e quanto dovrà modificare perché non in linea con la totalità della sua natura. Attraverso la caduta della proiezione di parti proprie sulle figure maschili esterne, la donna potrà conoscersi meglio e finalmente agire in libertà, senza dover rispondere ad un’immagine di sé incompleta che l’allontana dalla Verità.

Così come era successo a Raperonzolo alla vista del Principe, anche il primo momento di rivelazione dell’Animus agli occhi della donna che non si è ancora incontrata con la totalità del suo lato maschile è certamente una scoperta sconvolgente. Entrare in contatto con una parte di sé che la donna non è stata abituata ad usare o a riconoscere come propria genera sicuramente un moto di paura, un ritrarsi che si fa negazione e rimozione per anni, finché non si comprenderà di come sia fondamentale entrare in relazione con questa parte maschile del Sé.

Questo perché il momento della caduta di ciò che è stato proiettato sull’uomo, le aspettative inconsce e le pretese collegate a schemi ed interpretazioni mentali che affondano le loro radici in un tempo precocissimo, fatto di idealizzazioni e di illusioni, se da una parte segna un momento di grande delusione per la donna, una ferita per tutto ciò che è stato cullato per molto tempo nelle proprie aspirazioni, dall’altra offre una svolta nel suo percorso d’individuazione, nella possibilità di conoscere fino in fondo sfumature della sua natura maschile che non avrebbero potuto rivelarsi se non dal contatto con l’uomo, che si sarebbero perdute o mai utilizzate e che l’avrebbero anche spinta a rimettere in scena modelli relazionali automatici e dolorosi, senza riuscire a spezzarne la catena.

Scrive il neojunghiano Murray Stein ne “Il principio d’individuazione”: “(La donna) farà così nascere nuove immagini dello Spirito, nuovi modi di apprezzare l’anima, nuovi significati per la propria storia e per la storia collettiva. Potrà continuare a nutrire questa relazione nel suo cuore; essa la nutrirà, la ispirerà e la guiderà nel lavoro della sua vita. Questa relazione con la parte maschile di sé la renderà indipendente da ciò che gli altri pensano e vogliono da lei. Il senso del proprio valore lo trarrà dal servire questo Spirito di creatività”.

E infatti, l’inconscio non è solo il deposito di tutti i desideri incompatibili e i ricordi dolorosi negati e rimossi, ma è anche lo scrigno dei potenziali non utilizzati e di tutte le qualità mai sfruttate che, una volta illuminati, possono rendersi disponibili per individuare nuovi canali espressivi capaci di contattare ed utilizzare l’energia creativa che vi è imprigionata e che potrà rendersi fruibile soltanto dopo lo sblocco.

Ma proprio perché il primo momento d’incontro (la coniunctio minor) può non essere veritiero, potrà persistere una fusione di emozioni ed elementi diversi che andranno invece separati per essere compresi nella loro specificità. Ciò è ben spiegato nella fiaba, in cui si evidenzia la necessità che ci sia una separazione tra il principio femminile simboleggiato da Raperonzolo e quello maschile simboleggiato dal Principe perché ancora non differenziati e quindi ancora caotici e difficilmente integrabili tra di loro.

Prendere consapevolezza degli opposti è un passaggio fondamentale nel processo d’individuazione perché può rivelare anche il modo per ridimensionare le aspettative inconsce che si pongono su di sé e quindi, di riflesso, sul rapporto con gli altri.

Jung parlava a questo proposito di partecipation mistique o psiche collettiva, una condizione psicologica di totale identificazione tra oggetto e soggetto in cui gli opposti sono fusi, costringendo l’individuo ad identificarsi con uno dei due e a proiettare fuori di sé l’altro, che verrà avvertito come estraneo, diverso, nemico, perchè lontanissimo da quello che è stato accettato e riconosciuto dalla coscienza.

La Separatio e la Coniunctio maior

Il passaggio che l’Io deve fare per differenziare soggetto ed oggetto e tutti gli opposti psichici che lottano tra loro è molto simile alla “separatio” dei procedimenti alchemici, dove le varie sostanze devono essere innanzitutto separate le une dalle altre, analizzate e puntualizzate nella loro struttura e specificità, perché soltanto a quel punto possono essere trasformate e rese nobili. Allo stesso modo, la “separatio” psicologica permette all’Io di purificarsi dei desideri e degli impulsi non rigenerati che salgono dall’inconscio, dopo averli visualizzati; grazie a questo passaggio, può avvenire una liberazione da tutti quegli elementi infantili ed illusori che impediscono all’Io di farsi maturo, integrato e trasformato, grazie al ricorso ad uno stato intermedio, una dimensione “altra” che si rende disponibile dove tentare di ricostruire l’equilibrio che è andato perduto.

Solo dopo questo procedimento di “separazione” si potrà dare vita alla vera “coniunctio”, le nozze mistiche tra Sole e Luna e cioè quello scambio tra conscio e inconscio, tra maschile e femminile, tra Animus ed Anima, tra Logos ed Eros, tra Spirito e Materia, gli orientali parlerebbero di Yin e Yang, che può finalmente generare lo Spirito creativo, la “gravidanza” di due gemelli nel caso di Raperonzolo, ma anche di molte altre fiabe che ne tramandano il passaggio fondamentale.

Le parole di Gesù “Sono venuto per dividere, non per unire” (Matteo, 10 :34-36), potrebbero essere un buon esempio per spiegare la paradossale necessità della “separazione” per l’uomo che vuole diventare “UNO”, “individuo”, non diviso, capace finalmente di autodeterminarsi e compiere se stesso.

In Astrologia, il processo di separazione è collegato allo Scorpione e al pianeta Plutone. E’ nell’ottavo settore dell’oroscopo che l’Io eroico solare deve subire una trasformazione, una spoliazione grazie alla caduta di tutti quegli attaccamenti e sentimenti nocivi, nonché illusioni della fase infantile che non permettono alla coscienza di elevarsi allo stadio superiore che lei stessa ricerca. L’ottava casa dell’oroscopo è equivalente al concetto di “impermanenza” buddista, in cui si è ormai riusciti a lasciar andare ciò che non è più utile alla propria individuazione, ma costituisce solo una zavorra al compimento di ciò che si rivela importante per sé, per il proprio progetto esistenziale, quello che è presente già alla nascita e deve essere realizzato perché l’intera personalità si compia. La carta astrale infatti non ci dice “come siamo fatti”, ma “ciò che dobbiamo diventare”.

Si tratta di processi automatici psicologici che non cercano il permesso della volontà cosciente per realizzarsi, così come ben illustrato nella fiaba dalla domanda/lapsus che Raperonzolo fa alla strega sul come mai lei fosse così tanto più pesante del Principe nella sua ascesa alla torre, che rivela essenzialmente il tendere automatico della psiche verso la completezza, anche a costo di spalancare una porta sull’ignoto e su conseguenze dolorose, così come sarà per Raperonzolo abbandonata gravida nel deserto tra mille stenti ed in balìa di un incerto futuro.

“Dopo aver scacciato Raperonzolo dalla torre, la strega aspettò che il Principe salisse per incontrarsi con l’amata e fu allora che gli si rivelò, mettendolo di fronte alla terribile notizie che mai più avrebbe rivisto Raperonzolo in vita. Fu a quel punto che il Principe, sconvolto dal dolore, si gettò dalla torre, ebbe salva la vita, ma le spine di rose fra cui cadde gli trafissero gli occhi. Per molto tempo andò errando cieco per boschi e foreste, piangendo e lamentandosi per perdita dell’amata. In questo girovagare, capitò nel deserto in cui Raperonzolo viveva fra gli stenti, coi due gemelli che aveva partorito, un maschio e una femmina. Il giovane udì una voce che cantava e gli sembrò ben nota: si lasciò guidare da essa e quando si avvicinò riconobbe Raperonzolo che pianse di gioia nel vederlo di nuovo al suo fianco; fu allora che due delle sue lacrime inumidirono gli occhi del Principe, che riacquistò la vista e portò Raperonzolo nel suo regno facendola Regina, dove vissero ancora a lungo felici e contenti”.

I passaggi finali della fiaba introducono elementi di notevole interesse dal punto di vista esoterico e psicologico. Innanzitutto, il riconoscimento che il maschile ed il femminile interni non cessano mai di cercarsi, a tal punto da sopportare sfide incredibili pur di ricongiungersi e dare vita ad “una cosa sola”; infatti, l’esperienza desertica di Raperonzolo è il simbolo della necessità da parte della psiche di attraversare un territorio di privazione di tutto ciò che non risulta essere essenziale al ricongiungimento, tra rinunce e stenti, ma anche nell’intima consapevolezza di portare in sé il germe di una nuova vita.

E’ così che la “resistenza” che coltivano sia la fanciulla che il Principe nel cercarsi senza perdere la speranza non è collegabile all’ostinazione del desiderio verso un qualcosa d’impossibile, così come aveva rivelato l’atteggiamento della madre di Raperonzolo, ma piuttosto alla “durezza del diamante”, alla consapevolezza e alla lungimiranza che solo il riunirsi del maschile e femminile interni può dare vita all’unità, all’integrità e alla guarigione necessari alla psiche.

Il pianto del Principe che è divenuto cieco per la luce abbagliante dei desideri non educati dell’Eros, per la convinzione ostinata di risolvere tutto con il ragionamento, con l’astuzia o la forza della volontà, simboli della presunzione della mente di potersi negare all’inconscio, diventa l’atto liberatorio che sgorga dal cuore per riequilibrare quella luce, per ricontattare la parte Eros di sé e miscelarla con la parte Logos, troppo forte, sicura della riuscita ed irrigidita sulle sue posizioni. Il Logos che si nega all’Eros infatti, perde umanità, si fa cinico, spietato ed incapace di evolvere.

Sono quindi l’atto di coraggio di Raperonzolo/Anima, sola ed abbandonata nel deserto a cercare se stessa e l’atto di umiltà del Principe/Animus che fa della sua cecità/debolezza la radice di una forza nuova, la molla evolutiva per il ricongiungimento ed il compimento dell’intero processo.

E’ questa la “coniunctio maior” degli Alchimisti, l’atto finale che decreta l’integrazione tra coscienza ed inconscio, dopo che gli elementi femminili e maschili della psiche, abbozzati e latenti nel profondo dell’inconscio, possano finalmente ricongiungersi all’interno del Sé individuale, per permettere la nascita di una nuova personalità, una coscienza sanata, integrata e totalmente rigenerata, la quintessenza degli alchimisti, il “Lapis” arcano racchiuso nell’uomo, che è il presupposto per la sua redenzione, per la sua immortalità.

Almeno in potenza, ciascun essere umano è il sale del mondo, è il centro dell’Universo, è il cuore della vita. E’ per questo che gli alchimisti vedevano proprio nell’uomo la manifestazione di Dio, perché è solo grazie all’opera dell’uomo che il Divino può essere liberato dalle tenebre della materia ed esprimersi.

La fine della fiaba, di tutte le fiabe aventi come intento la ricongiunzione del maschile col femminile, segna l’inizio della vita reale. Da quel momento in poi l’individuo può cominciare ad interagire con gli altri usando il suo intero potenziale, disciplinando e rendendo positivo l’archetipo che non cesserà di esistere, ma diventerà una guida comportamentale e non più una possessione, né il giudice di un incomprensibile destino. L’archetipo sarà stato interiorizzato e da dentro potrà illuminare le scelte che si faranno sempre più consapevoli, autonome, soddisfacenti e soprattutto libere.

Scrive Jung in “The vision seminars”:

“Quando indulgi nella bramosia, sia che il tuo desiderio sia rivolto verso i Cieli o verso gli Inferi, dai all’Animus e all’Anima un oggetto; ma se puoi dire “Sì lo desidero e cercherò di averlo, ma se decido di rinunciarvi, posso rinunciare” allora per Animus e Anima non c’è possibilità. Se non è così, sei governato dai tuoi desideri, sei posseduto. Ma se hai messo Animus ed Anima in una bottiglia, anche se puoi stare male dentro, perché se il tuo demone sta male anche tu stai male, dopo un po’ capirai che era giusto imbottigliarlo. Diverrai lentamente tranquillo e ti accorgerai che c’è una pietra che cresce nella bottiglia e quando l’autocontrollo e la non indulgenza saranno un’abitudine, la pietra sarà diventata un diamante”.

Rapunzel

di Francesca Piombo


Bibliografia:
C.G Jung, Mysterium coniunctionis, Opere, vol. 14/1, Bollati Boringhieri, 1990
C.G. Jung, Psicologia ed Alchimia, Bollati Boringhieri, 2006
E. F. Edinger, Anatomia della Psiche, Simbolismo alchemico nella psicoterapia, Vivarium, 2008
J. Raff, Jung e l’immaginario alchemico, Edizioni Mediterranee, 2008
J. Hillman, Anima. Anatomia di una nozione personificata, Adelphi 1989
E. Neumann, La Luna e la coscienza patriarcale, in La psicologia del femminile, Astrolabio Ubaldini, 1976


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