Spiritualità

Per andare dove (signor Decker)?

di Giulio Achilli

L’attacco emozionale è stato scatenato. Una reazione distruttiva si è impadronita dei nostri spazi interiori, ed è irrilevante che si tratti di fare del male a noi stessi, oppure ad altri esseri umani, perché è la stessa cosa. La nostra carenza di Energia disponibile ha causato e facilitato la perdita dello stato di Presenza: questo ha prodotto in conseguenza una condizione di sonnambulismo di coscienza; e a seguire, inevitabilmente, nel nostro Campo di Consapevolezza si sono aperti, o sono stati deliberatamente aperti, dei corridoi non custoditi, attraverso i quali qualcosa può liberamente accedere e fare il suo comodo senza che noi se ne abbia il benché minimo sospetto.

Suona fantascienza? State ridendo per questo scenario ai limiti di un libro di Heinlein? E’ ciò che mi ripromettevo. Davvero uno spasso incredibile, quanto ho appena scritto.

Del resto, è capitato a chiunque, e sottolineo a chiunque, di pentirsi a posteriori di parole dette o azioni effettuate, contro noi stessi o altri nostri compagni esseri umani, di una violenza quasi inspiegabile, o di una volontà distruttiva del tutto fuori luogo. E’ capitato a chiunque, e sottolineo a chiunque, di pensare “Ma come ho fatto a fare/dire questo? Ma perché l’ho fatto? Perché ho distrutto questa cosa in questo modo? E adesso, come faccio a riparare?

Tutto ciò è normale. È l’esatta verità. Qualcosa ci ha preso, ha detto/fatto attraverso di noi parole o azioni incomprensibili mentre noi non c’eravamo, e poi se ne è andato, magari ridendo bello satollo, magari per sempre, lasciandoci a dover fronteggiare le conseguenze di queste azioni incomprensibili.

Ciclicamente, lo sappiamo bene, l’attacco emozionale torna a sprigionarsi dentro di noi. E ad esso, nel tempo, abbiamo replicato generando una risposta automatica di accondiscendenza, che indipendentemente dalle sue manifestazioni, può essere identificata con un solo nome.

La fuga.

Di fronte ad un attacco emozionale, fuggiamo via assecondandone la sua qualità. A lungo andare, sempre nello stesso modo. Curiosamente, nessuno chiama mai “fuga” questa risposta automatica. Andiamo a bere, o a mangiare, o a fare del male, o a fare sesso, a camminare, a messa, al cinema, a parlare del nulla con qualcuno purché sia. La deriva inerziale ci rende prevedibili e abitudinari, e così, ogni volta che l’attacco si scatena, la fuga assume sempre lo stesso carattere. La stessa manifestazione. Lo stesso fare. La stessa, incontrollabile abitudine.

La fuga è la risposta automatica ad un attacco emozionale da parte di una struttura interiore che è rimasta allo stato adolescenziale. Di fatto, è una resa passiva alla sua influenza. Non importa l’età anagrafica, perché essa non ha mai avuto alcuna importanza, meno che mai nei mondi interiori. Guardiamoci intorno. Riusciamo a vedere come ogni essere umano fugga ciclicamente da qualcosa sempre in quei quattro, cinque modi sempre uguali ( se è un creativo, altrimenti uno o due solamente )? Riusciamo a vedere come ogni essere umano chiama le sue fughe con i nomi altisonanti di “stile di vita”, oppure “irrinunciabile abitudine”? Ma soprattutto, riusciamo a vedere come noi stessi, alla fine, siamo adolescenti in fuga perenne dalla responsabilità di essere umani?

Beh, io lo vedo con chiarezza, perché io sono il primo della lista dei fuggitivi. Ma io ho un enorme, incommensurabile privilegio. Quando fuggo, so che sto fuggendo. So che sto aggirando un attacco emozionale invece di fronteggiarlo. E so che sto lavorando senza tregua per essere pronto al giorno in cui l’attacco sarà sferrato, ed io avrò l’Energia sufficiente a trascenderlo una volta per sempre.

Smettere di fuggire e voltarsi ad affrontare la Realtà è esattamente ciò che distingue un uomo comune da un Guerriero Interiore. All’esterno, nessuno può distinguere nulla. Interiormente, tra di loro c’è un abisso. L’uomo comune chiama le sue fughe “libertà personale”, e ne va persino fiero. Il Guerriero Interiore identifica ogni attacco emozionale di cui è vittima senza alcuna pietà per sé stesso, poi identifica ogni fuga in cui cade automaticamente a seguito di un attacco senza alcuna pietà per sé stesso, e poi dedica tutta la sua Energia a chiudere il corridoio in cui l’attacco emozionale si è radicato ed agisce, in maniera che esso sia respinto alla fonte e riassorbito per sempre. Con gentilezza, pazienza, ma senza alcuna pietà per sé stesso. Questa è la regola, altre non ce ne sono.

Non c’è nessun posto dove si possa fuggire. La fuga è solo un palliativo, che trasla solo di qualche ora o qualche giorno un varco che non si può aggirare, e di cui la durata di una Vita può non esserne l’unità di misura definitiva. E poi, per andare dove? Quale tempo o luogo o persona del pianeta Terra potrà mai influire sulla nostra struttura interiore? Quale esteriore potrà mai permetterci di fronteggiare, meno che mai impedire, ancor meno che mai trascendere, un attacco emozionale interiore?

Smettere di fuggire, dunque, ed affrontare con fierezza e integrità l’attacco emozionale di cui siamo vittima, è la transizione non differibile tra un essere umano comune, ed un essere umano che intenda forgiare in sé stesso qualcosa che abbia un valore oggettivo, una qualità superiore, ed una durata al di fuori del tempo.

Ma in che modo affrontare un attacco emozionale? In che modo chiudere il corridoio in cui esso si è radicato? Lo sappiamo tutti benissimo, qui; tuttavia, visto che repetita iuvant, di questo parleremo un’altra volta, se così l’Infinito vorrà.

di Giulio Achilli

Fonte: marenectaris.net

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