Spiritualità

Cosa diciamo quando parliamo? – (parte seconda)

di Salvatore Brizzi

Psicologia
Viene dal greco psyché = anima, che a sua volta deriva dal verbo psỳchein = respirare, e lógos = verbo, inteso come suono, vibrazione. La psicologia concerne quindi il suono dell’anima dell’individuo, il suo respiro. L’anima non può essere studiata nel senso comune del termine, bensì SENTITA. Un’anima SENTE un’altra anima, non la studia sul piano mentale, in quanto tale operazione risulterebbe ridicola come cercare di misurare il peso di un sacco di farina utilizzando un termometro. Non è che la farina non sia misurabile di per sé, è che ci stiamo servendo dello strumento sbagliato. L’empatia permette di conoscere l’anima, non l’analisi intellettuale.
Se ne deduce che la psicologia odierna (dalla metà del XIX sec.) sta studiando qualcosa che non ha nulla da spartire con la psicologia, né riguardo all’oggetto – infatti studia la mente anziché l’anima – né riguardo al metodo (l’analisi anziché la sintesi empatica).
Degno di nota il fatto che psyché in greco indichi sia l’anima che la farfalla: un nuovo essere che nasce dalla trasformazione del bruco. Risulta evidente l’analogia con il processo di trasformazione spirituale dell’essere umano.
D’altronde i greci… erano i greci.

Empatia
Viene dal greco én = in e páthos = vibrazione emotiva. Secondo il significato comune il pathos è la commozione, il patimento, il trasporto. L’empatia sarebbe quindi il processo per cui si crea una sorta di « comunione vibratoria » con un altro individuo, che in alcuni casi – quando non è vissuta con il sufficiente distacco – può portare a provare il suo stesso patimento. Questa comunione vibratoria può coinvolgere solo i due corpi emotivi, oppure, a un livello maggiormente profondo, la vibrazione di due o più anime. Pertanto quando si ascolta una persona con l’anima, il provare empatia non significa più semplicemente soffrire o rallegrarsi insieme al corpo emotivo, o “corpo di dolore”, dell’altro, ma entrare in sintonia sul piano dell’anima, senza coinvolgimento emotivo, ma con più intensità animica.

Ricordare
Dal latino recordāri, composto dal pref. re- e il sostantivo cŏr, cŏrdis = cuore. Il termine significa dunque “ripetere, registrare nel cuore”. Il Cuore era infatti per gli antichi la sede della vera memoria. Ed essi non si sbagliavano in quanto, mentre la memoria della personalità – cioè la memoria materiale quantitativa – ha sede nella mente (da cui il termine rammentare = re- ad- mentare), la memoria animica – cioè la memoria delle qualità entrostanti gli eventi – ha sede proprio nel Cuore. In tal senso l’autentico “ricordo” non è giudicante, ossia non prevede la divisione fra giusto e sbagliato, che appartiene alla mente e non al Cuore. Nel vero ricordo osserviamo e sentiamo un evento con il Cuore, senza giudicarlo, ma comprendendo quale qualità animica ci ha permesso di sviluppare.

Ricordo di sé
Significa “riportare se stesso al Cuore”. Dobbiamo distinguere fra lo sforzo di ricordarsi di sé – che è ciò a cui si dedicano tutti coloro che iniziano a fare esercizi di risveglio – e il vero e proprio ricordo di sé, che è la meta. Quest ultimo è uno “stato emotivo superiore”, come lo descriveva Gurdjieff, cioè uno stato che concerne, per l’appunto, l’attività del Cuore… un’emozione superiore. E ciò viene troppo spesso dimenticato dalle pseudo-scuole di Quarta Via.

Amore
Sul dizionario viene riportata la derivazione dal latino amāre, derivante a sua volta dal sanscrito ka o kam = desiderare, da dove viene kama = desiderio e kamaloka = mondo del desiderio (loka = luogo) o mondo astrale.
Il greco antico per designare l’amore utilizzava però più termini: philia (amore tra amici), eros (amore passionale), agape (amore incondizionato, anche non ricambiato, spesso con riferimenti religiosi: è la parola usata nei Vangeli) e storge (amore familiare).
Secondo un’interpretazione non ufficiale il termine può esser fatto derivare da a- morte = senza morte, immortale (dal latino mors, mortis). Tale spiegazione ha un senso all’interno di un’ottica esoterica: l’amore incondizionato infatti fa sì che l’individuo sperimenti un’apertura di coscienza che lo proietta nell’infinito e, di conseguenza, nella percezione dell’immortalità.

Esoterismo
Di norma si crede che tale termine significhi “nascosto”, ma è sufficiente consultare un dizionario etimologico per scoprire qualcosa di diverso. La parola viene da esòterikòs che a sua volta viene da esòteros = interiore; comparativo di èsō o iso = dentro. Esoterico significa semplicemente "interiore" e concerne dunque tutto ciò che coinvolge l’interiorità dell’essere umano. Per estensione è passato poi a indicare tutto ciò che – proprio perché interno – è anche nascosto. Esòterikòs era denominato il discepolo interno della scuola di Pitagora, mentre exôterikòs era colui che non veniva ammesso alla scuola.

Coraggio
Deriva dal latino coraticum (o anche cor habeo), aggettivo derivante da cŏr, cŏrdis = cuore e dal verbo habere = avere. Essere coraggioso significa avere cuore.
La definizione esoterica di coraggio riguarda la capacità di un individuo di compiere un atto che vada oltre gli istinti di sopravvivenza, i condizionamenti e i bisogni della personalità. Agire con coraggio significa non ascoltare le paure della personalità e seguire la voce dell’anima, la voce del Cuore. Solo un particolare sentire del Cuore può spingere una persona a compiere un atto che vada oltre le paure della personalità.

Sacrificio
È un termine molto simile a coraggio. Viene dal latino sàcer = sacro e fàcere = fare. Quando sacrifichiamo qualcosa, cioè quando “facciamo il sacro”? Anche in questo caso quando riusciamo ad andare oltre gli attaccamenti e le paure della personalità. Il sacrificio mi deve costare qualcosa, mi deve fare un po’ soffrire, altrimenti non ha valore. A seconda dello stadio di coscienza di chi offre il sacrificio, questo può essere umano, animale, vegetale oppure, negli stati di coscienza più elevati, il sacrificio concerne delle parti psicologiche di noi stessi: sacrifico la mia gelosia lasciando che il mio fidanzato esca con una sua ex, sacrifico il mio attaccamento al denaro prestando dei soldi a qualcuno che non so se potrà ridarmeli, sacrifico il mio attaccamento a un modo di pensare non impuntandomi per far valere la mia opinione, sacrifico la mia passione per i dolci, e così via.
Offro a Dio qualcosa a cui tengo, privandomene. Questo crea un collegamento fra me e il divino. Più è basso il mio livello di coscienza più diventa necessario che io faccia scorrere del sangue con il fine di aprire un canale verso i mondi superiori. In altre parole, la mia eccessiva distanza dal divino mi costringe a compiere un atto massimamente scioccante e invasivo per il mio subconscio, quale può essere il sacrificio umano, al fine di essere “ascoltato” dal divino. Una volta aperto questo canale il sacerdote è in grado di canalizzare la risposta che proviene dall’alto, la quale una volta poteva giungere anche in termini di manifestazioni fisiche dirette della divinità, mentre oggi, essendo mutato il livello di coscienza, giunge come un’intuizione sul da farsi.

di Salvatore Brizzi

Fonte: www.salvatorebrizzi.com

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