Spiritualità

I Simboli del Supernormale

di Roberto Assagioli
– Estratto dalla rivista Verso la Luce, n. 9 – 1965

Prima di parlare del supernormale è opportuno chiarire che cosa si intende per «normale». Si considera generalmente «normale» l’uomo medio, ossequiente alle norme sociali dell’ambiente in cui vive, in altre parole il «conformista»; ma la normalità intesa in questo modo è una concezione poco soddisfacente; essa è statica ed esclusiva. Questa normalità è una «mediocrità» che non ammette o condanna tutto quello che è fuori della norma, e che quindi è considerato «a-nor-male», senza tener conto del fatto che molte delle cosiddette «anormalità» sono in realtà inizi o tentativi di superare la mediocrità.

Però, ora si è cominciato a reagire contro questo meschino culto della «normalità»; pensatori e scienziati del nostro tempo vi si sono opposti con decisione. Tra i più autorevoli si può citare Jung, il quale non ha esitato a dire che: «L’uomo ideale è la meta ideale per i falliti della vita, per tutti coloro che sono ancora al disotto del livello generale di adattamento; ma per coloro che hanno possibilità molto maggiori di quelle dell’uomo medio, l’idea o la costrizione morale di essere soltanto normali costituisce la tortura di un letto di Procuste*, una noia insopportabile, un inferno senza speranza» (Modern Man in Search of a Soul. New York: Harcourt Brace, 1933).

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* Letto di Procuste – Dal mito riferito al nome con il quale è più noto un celebre ladrone dell’Attica Polipemone o Damaste, rispettivamente “il poliguastatore” e “il costrittore”. Il riferimento è all’attività principale di Procuste. Egli catturava i viandanti e li conduceva nella propria sede, dove li faceva stendere su un letto scavato nella roccia: se essi erano più corti del letto, li allungava, lavorandoli come un fabbro con un martello; se erano più lunghi, segava loro le parti sporgenti. Con la locuzione “letto di Procuste” o “letto di Damaste”, derivata da questo mito, si indica il tentativo di ridurre le persone a un solo modello, un solo modo di pensare e di agire, o più genericamente una situazione difficile e intollerabile o una condizione di spirito tormentosa. (n.d.r.)
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Un altro studioso, il Prof. Gattegno dell’Università di Londra, andando oltre, ha aggiunto che egli considera l’uomo medio ordinario quale un essere pre-umano, e riserva la parola «Uomo», con la U maiuscola, solo per coloro che hanno trasceso il livello o stadio comune e che sono, rispetto a questo, supernormali.

Nel passato, il culto degli esseri superiori era diffuso: i geni, i saggi, i santi, gli eroi, gli iniziati erano riconosciuti come avanguardie dell’umanità, come la grande promessa di ciò che ogni uomo potrebbe diventare. Ciò è affermato nei grandi incitamenti del Cristo: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro nei cieli», e «Cose più grandi di quelle che io ho fatte, farete anche voi». Questi Esseri superiori, senza disprezzare l’umanità comune, hanno cercato di suscitare in essa la spinta, l’anelito a trascendere la «normalità» e mediocrità in cui si trova, a sviluppare le possibilità latenti in ogni essere umano.

Nel parlare del super-normale, ci troviamo di fronte ad una grave difficoltà, e cioè alla inadeguatezza del linguaggio umano. Esso è concreto, sopratutto il linguaggio moderno che è razionale ed obiettivo. Tutte le parole, che designano condizioni o realtà psicologiche o spirituali, sono originariamente metafore o simboli basati su cose concrete. Ad esempio, anima deriva da «anemos», vento; spirito da «soffio», respiro; pensare da «pesare» materialmente, ecc. Tuttavia la difficoltà non è insormontabile, se riconosciamo e teniamo sempre presente la natura simbolica di ogni espressione, sia verbale, sia di altro genere. I simboli rettamente riconosciuti ed intesi hanno grande valore: sono «evocativi» e suscitano la comprensione intuitiva diretta; anzi il fatto che le parole indicanti realtà superiori abbiano radici nell’esperienza dei sensi serve a mettere in luce delle essenziali corrispondenze analogiche fra mondo esterno e mondo interno, fra macrocosmo e microcosmo.

I simboli tuttavia presentano dei pericoli: infatti l’uomo che li prende letteralmente, che non va alla realtà passando attraverso il simbolo, ma a questo si ferma, non raggiunge la verità. Inoltre i simboli hanno una limitazione nella loro unilateralità: ogni simbolo, infatti, non può esprimere che un aspetto, una modalità, una concezione parziale di una data realtà. A questo però si può ovviare mediante l’uso di simboli diversi per indicare la stessa verità. Allora la sommaria convergenza, la sintesi di tutti i punti di vista può dare una comprensione maggiore, integrale, della realtà che essi simboleggiano.

Perciò, per indicare le esperienze e le conquiste superiori aperte all’uomo useremo quindici classi o gruppi di simboli:

1. Introversione.
2. Approfondimento, discesa.
3. Elevazione, ascesa.

4. Allargamento, espansione.

5. Risveglio.

6. Luce, illuminazione.

7. Fuoco.

8. Sviluppo.

9. Potenziamento.

10. Amore.

11. Via, sentiero, pellegrinaggio.

12. Trasmutazione, sublimazione.

13. Nuova nascita, ri-generazione.

14. Liberazione.

15. Resurrezione, ritorno.

Questi simboli non sono soltanto «suggestivi» ed illuminativi. Essi possono venir utilizzati come soggetti di meditazione, anzi di veri e propri « esercizi psicospirituali ». Ciò è già stato fatto a scopi anagogici e psicoterapici, e tali meditazioni ed esercizi si sono dimostrati efficacissimi, producendo talvolta delle trasformazioni sorprendenti. (Un esempio di tale uso è L’Esercizio della Rosa, la cui descrizione si trova alla fine di questo articolo).

I – Introversione

Al primo gruppo appartengono i simboli della introversione, dell’interioramento.L’introversione è una necessità urgente per l’uomo moderno; la nostra civiltà attuale è così esageratamente estrovertita che l’uomo è preso in una frenetica ridda di attività che divengono fine a se stesse. Si può dire che l’uomo «normale» viva oggi psicologicamente e spiritualmente «fuori di sé»; questa espressione – che nel passato veniva usata per i malati di mente – è oggi adatta per l’uomo moderno! Egli ormai vive dappertutto, fuorché dentro se stesso; egli è in realtà «ec-centrico», cioè vive fuori del proprio centro interno (vi è in francese un’altra espressione appropriata: désaxé, fuori del proprio asse). Occorre quindi controbilanciare la vita esterna mediante un’adeguata vita interna. Dobbiamo «rientrare in noi stessi». Occorre che l’individuo rinunci alle sue molteplici, continue evasioni e che si volga invece alla scoperta di quello che è stato di recente chiamato lo «spazio interno». Occorre riconoscere che non vi è soltanto il mondo esterno, ma che vi sono vari mondi interni, e che è possibile, anzi doveroso, conoscerli, esplorarli, conquistarli. Questa è una necessità di equilibrio e di salute.

L’uomo moderno, che ha dominato la natura e ne sfrutta le energie, non si rende conto che, in realtà, tutto ciò che egli fa all’esterno ha origine in lui, nel suo animo, è effetto di desideri, istinti, impulsi, programmi, piani. Queste sono attività psicologiche, cioè interne: ogni azione esterna è il risultato di moventi interni. Perciò si dovrebbe anzitutto conoscere, esaminare e regolare questi moventi. Un uomo superiore, J. Wolfgang Goethe, il quale ha saputo recitare bene la parte dell’«uomo normale» quando ha voluto farlo, ha detto:«Quando abbiamo fatto la nostra parte all’interno, l’esterno si svolgerà da sé automaticamente».

Inoltre, l’interioramento può dare molto di più dell’equilibrio e della salute nervosa e psichica; può avere effetti che si possono dire supernormali. Rientrando in noi stessi, scopriamo il nostro Centro, il nostro vero essere, la parte più intima di noi; è una rivelazione e insieme un potenziamento. È quella che il Cristo ha chiamato «la perla di gran prezzo»; chi la trova e ne riconosce il valore, l’acquista vendendo tutto il resto.

II – Approfondimento, discesa

Il secondo gruppo di simboli è costituito da quelli dell’approfondimento, della discesa al «fondo» del nostro essere.

L’esplorazione dell’inconscio è considerata simbolicamente come la discesa negli abissi dell’essere umano, come l’esplorazione dei «bassifondi della psiche»; tale simbolo è in uso particolarmente da quando si è sviluppata la psicoanalisi ; tuttavia non è stato scoperto da questa: ha origine più remota e anzi, nell’antichità, aveva un senso più profondo. Basti ricordare la discesa agli inferi di Enea nell’Eneide di Virgilio, e la descrizione dell’Inferno dantesco. Vari mistici, inoltre, parlano degli «abissi dell’anima». A parte la psicoanalisi in senso stretto, vi è oggi una corrente psicologica chiamata «psicologia del profondo», rappresentata da Jung e da altri. Il suo principio fondamentale è che l’uomo deve, con coraggio, prendere coscienza di tutti gli aspetti inferiori, oscuri, del proprio essere, quelli cioè che vengono chiamati «l’ombra» e poi includerli nella sua personalità cosciente. Quel riconoscimento e questa inclusione sono atti di umiltà e di potenza insieme: colui che ha il potere di prender coscienza dei lati più bassi della sua personalità, senza esser travolto da essi, compie una vera conquista spirituale. Ma ciò presenta dei pericoli; l’apologo dell’«apprendista stregone» ci ammonisce: è relativamente facile far erompere le «acque», ma poi molto difficile tenerle a freno e comandar loro di ritirarsi!

A questo proposito è opportuno ricordare quello che fa un valente psicoterapeuta, Robert Desoille, creatore del metodo del «rève éveillé». Egli si serve anche della «discesa», ma soprattutto della salita. Riguardo alla discesa, egli dice che è da usare con prudenza,«frazionatamente», cioè di cominciare col cercare di attuare le realizzazioni superiori, poi, via via che il soggetto si rafforza, cautamente esplorare la zona dell’inconscio inferiore. Il suo scopo è l’eliminazione della dissociazione fra la coscienza e l’inconscio inferiore, prodotta dalla repressione, dalla condanna da parte del cosciente, dal non voler ammettere, per presunzione o paura, che in noi esista quell’aspetto della nostra personalità. Il reprimerlo non serve a nulla: non lo abolisce, anzi, lo esaspera, mentre è nostro compito redimere questa nostra parte inferiore. «Riconoscere» tale parte non vuol dire lasciarsi andare in balia di essa, ma prepararsi a trasformarla. La discesa del Cristo agli inferi per redimerne gli abitatori ha questo significato profondo.

III – Elevazione, ascesa

Il terzo gruppo di simboli, molto diffuso, è quello dell’elevazione, dell’ascesa, della conquista dello «spazio interno» in senso ascendente. Vi è una serie di mondi interni, ognuno dei quali ha caratteri specifici, ed entro ognuno di essi vi sono livelli superiori e livelli inferiori. Così nel primo, il mondo delle passioni e dei sentimenti, vi è una grande distanza, un forte «dislivello», dalle passioni cieche ai sentimenti più elevati. Vi è poi il mondo dell’intelligenza, della mente; ed anche qui ci sono livelli diversi: quello della mente concreta, analitica, e quello della ragione superiore, filosofica (nous). Vi sono inoltre il mondo della immaginazione, di tipo inferiore e di tipo superiore; il mondo dell’intuizione, il mondo della volontà, e – ancor più «in alto» – i mondi ineffabili che possono venir indicati soltanto con la designazione di «mondi della trascendenza».

Il simbolismo dell’elevazione è stato usato in ogni tempo. In ogni religione sono stati costruiti templi in luoghi elevati, sulla cima di montagne; e molti monti nell’antichità erano considerati sacri. Inoltre vi sono leggende, come quella di Titurel che sale sulla cima del monte e vi costruisce il Castello del Santo Graal. Il simbolo del cielo quale regione superiore, dimora degli dei, meta delle aspirazioni umane, è universale.

A questo riguardo è opportuno fare un’osservazione semantica, cioè la differenza fra«ascesa» e «ascesi». Sono due parole simili foneticamente ma che hanno radici diverse: «ascesi» viene da «aiskesis», che in greco vuol dire «esercizio», «disciplina»; «ascesa»invece deriva dal latino «ad scandere», cioè salire su un gradino dopo l’altro. Ma queste due parole, oltre ad essere affini foneticamente, sono affini anche spiritualmente, in quanto l’ascesa è frutto e premio dell’ascesi non intesa nel senso di «ascetismo», ma nel senso greco e psicagogico di «disciplina psico-spirituale».

IV – Allargamento, espansione

Il quarto gruppo di simboli comprende quelli dell’espansione, dell’allargamento della coscienza. È bene rendersi conto che i vari simboli possono apparire contradditori; ma in realtà non lo sono, anzi si integrano. Come la discesa agli inferi non esclude la salita, ed anzi è bene – come abbiamo detto – prima « salire » per essere poi capaci di scendere senza pericolo, così, per poter allargare la coscienza senza perdersi nella sua vastità, occorre prima aver preso una salda posizione al Centro del proprio essere. Si potrebbe dire che la possibilità di allargamento cosciente è in funzione diretta del potenziamento del Centro. Queste due realizzazioni si integrano e non si escludono.

Lo psichiatra Urban parla dello «spettro della coscienza» e dice che noi siamo coscienti soltanto di una zona limitata, simile a quella dello spettro luminoso che va dal rosso al violetto, ma che vi sono zone psico-spirituali corrispondenti a quelle dell’infra-rosso e dell’ultra-violetto. La nostra coscienza può espandersi, allargarsi, includendo zone sempre più vaste di impressioni e di contenuti psico-spirituali. Questa espansione va concepita «sfericamente» in tutte le direzioni, sia «verticale», sia «orizzontale» dall’individuo al gruppo, alla società, all’umanità intera. Ma si tratta di «riconoscersi» nel Tutto e non di perdervisi. Leopardi e Carducci hanno rispettivamente simboleggiato queste due possibilità: nell’Infinito, Leopardi parla di «disperdersi nel Tutto», mentre nel Canto dell’AmoreCarducci dice: «Son io che il cielo abbraccio o dall’interno mi assorbe l’universo in sé?».

Un’altra serie di simboli di grandezza, di allargamento, è basata sulla radice sanscrita «mah», che vuol dire «grande». Da essa derivano «magisteri (maestro), mago, mahatma, e in generale si parla di uomini «grandi», di fronte ai piccoli uomini «normali».

L’espansione, l’inclusione di altri esseri in sé, è collegata col simbolismo dell’amore (vedi X Gruppo).

Un’altra direzione dell’espansione è quella che avviene nel tempo. L’uomo normale vive generalmente nel presente, preso, accaparrato da interessi momentanei. Ma egli può allargare la sua coscienza fino ad includere cicli sempre più ampi, un «continuum» temporale di varie dimensioni. Così si giunge a comprendere che il significato ed il valore di una vita umana non sta in alcun suo momento specifico isolato, ma in un processo che si svolge per lo meno tra la nascita e la morte fisica. Questa espansione nel tempo, questa inclusione di cicli sempre più vasti, prepara al passaggio, si potrebbe dire anzi al «salto», dal tempo all’eterno, inteso non come durata illimitata, ma come una dimensione extratemporale, trascendente, in cui il nostro Centro spirituale esiste e permane, al disopra del fluire della corrente temporale.

V – Risveglio

Veniamo ora al quinto gruppo di simboli, che sono fra i più suggestivi ed efficaci: i simboli del «risveglio». Lo stato di coscienza dell’uomo normale può essere chiamato uno stato «sognante» in un mondo di illusione: illusione della «realtà» del mondo esterno quale lo percepiscono i nostri sensi; illusioni prodotte dall’immaginazione, dalle emozioni, dalle concezioni mentali. Riguardo al mondo esterno la chimica e la fisica moderne hanno dimostrato come ciò che ai nostri sensi appare concreto, stabile, inerte, è invece un turbinare vertiginoso di elementi infinitesimali, di cariche energetiche animate da un dinamismo potente. Perciò, la «materia», quale appare ai nostri sensi e quale era concepita dalla filosofia materialistica, non esiste. La scienza attuale è giunta così alla concezione fondamentale dell’India, all’antichissima visione spirituale secondo la quale tutto ciò che «appare» è maya, illusione.

Vi sono poi le illusioni emotive e mentali, che ci riguardano più da vicino, che condizionano la nostra vita, producendo continui errori di valutazione e di condotta e sofferenze d’ogni genere. Anche in questo campo, la scienza psicologica moderna è giunta alle medesime conclusioni dell’antica saggezza: cioè che l’uomo è preda di «fantasmi» interni, di «attaccamenti», di «complessi». L’uomo vive vedendo ogni cosa ed ogni essere attraverso un fitto velo di coloriture e di deformazioni derivanti dalle sue reazioni emotive, dagli effetti dei traumi psichici del passato, da influssi esterni, da correnti psichiche di massa, ecc. Ciò ha per effetto anche una «deformazione» della sua mente; mentre egli crede di pensare «oggettivamente», è invece influenzato da quelli che Bacone chiamava «idoli», da preconcetti e da suggestioni.

Tutto questo produce un vero «stato sognante», dal quale si può – e si deve – «risvegliarsi». Per farlo occorre anzitutto un atto di coraggio e guardare in faccia la realtà; occorre riconoscere la molteplicità psicologica che è in noi, le varie sub-personalità che in noi coesistono, di modo che si potrebbe dire che ogni essere umano è un «personaggio pirandelliano». Il primo passo perciò consiste nell’accorgersi di tutto quello che esiste e si agita in noi. Il secondo passo è lo scoprire quello che realmente siamo: il «Sé», l’Io spirituale, lo Spettatore della tragi-commedia umana.

La dottrina e la prassi del «risveglio» sono di antica data; il Buddha nei suoi insegnamenti vi ha particolarmente insistito, tanto che venne chiamato il «perfetto Svegliato». Per favorire il«risveglio» si può fare un efficace esercizio spirituale: al mattino, dopo il risveglio«normale» dal sonno alla cosiddetta veglia, passare da questa ad un vero e proprio «secondo risveglio» nel mondo della realtà spirituale. Si potrebbe esprimere ciò sotto forma di una equazione: il sonno sta alla veglia ordinaria come questa sta alla veglia spirituale.

VI – Luce, illuminazione

Il sesto gruppo di simboli è quello della luce, dell’illuminazione. Come nel risveglio ordinario si passa dalla tenebra della notte alla luce del sole, così il risveglio della coscienza spirituale è stato chiamato «illuminazione», cioè il passaggio dalla tenebra dell’illusione alla luce della Realtà. Il primo passo – che corrisponde a quello del primo grado del risveglio – è un semplice (ma non per questo facile) veder chiaro» in noi stessi. Il secondo passo, o un altro effetto dell’illuminazione, è la possibilità di soluzione di problemi che sembravano insolubili, e ciò mediante lo strumento specifico della visione spirituale, «l’intuizione» («Intuire» vuol dire etimologicamente «veder dentro», in profondità, vedere la realtà delle cose).

La conoscenza intuitiva viene così a sostituire la conoscenza sensibile, intellettuale, logica, razionale, o comunque la integra e la trascende. L’intuizione porta infatti alla immedesimazione con ciò che si vede e si contempla, al riconoscimento dell’unità intrinseca tra oggetto e soggetto.

L’illuminazione spirituale è ancora qualcosa di più; è una «folgorazione», la percezione della Luce immanente nell’anima umana e nell’intera creazione. Ve ne sono numerose testimonianze; ad esempio quella di S. Paolo sulla via di Damasco. Nel Buddhismo, e in particolare nello Zen, si mira a produrre, mediante speciali discipline, questa improvvisa«illuminazione», come rivelazione della realtà trascendente.

Il Paradiso dantesco può considerarsi il poema della Luce. La famosa terzina:

«Luce intellettual piena d’amore, Amor di vero ben pien di letizia, Letizia che trascende ogni dolore» esprime in modo mirabile l’intimo rapporto, fra luce, amore e «intelligenza»(da intelligere che significa comprendere spiritualmente).

VII – Fuoco

Il settimo gruppo – i simboli del Fuoco – è uno dei più diffusi ed anche dei più «essenziali». L’adorazione ed il culto del fuoco si trovano in tutte le religioni e nelle tradizioni esoteriche. Ovunque, sugli altari, nelle fiaccole, nelle lampade, ardono i fuochi sacri, brillano le fiamme. Anche la fiamma della fiaccola olimpica è simbolo delle competizioni nelle quali gli atleti si sforzano di dar prova di capacità fisiche eccezionali.

L’esperienza interna del fuoco è stata vissuta e descritta da molti mistici; basti indicare Santa Caterina da Siena e Blaise Pascal. Invero, il fuoco più che un simbolo è una realtà esistente ed operante nei mondi invisibili. La sua funzione è soprattutto quella della purificazione ed a tale scopo è usato nella «alchimia spirituale».

VIII – Sviluppo

L’ottavo gruppo di simboli, che sono fra i più aderenti all’esperienza umana, è indicato dalle parole «evoluzione» e «sviluppo». In un certo senso si potrebbe dire che queste parole sono sinonimi. Svilupparsi «uscire dai viluppi», indica il passaggio dal potenziale all’attuale.

I due principali simboli dello sviluppo sono: il seme e il fiore. Il seme che racchiude in sé potenzialmente l’albero; il fiore che dal boccio chiuso si apre e dal quale si forma il frutto.

Noi non ci meravigliamo più, per abitudine, del «miracolo» per il quale dalla ghianda si sviluppa la quercia e dal bambino l’adulto. Dov’è, in realtà, l’albero, nel seme? Dov’è la quercia nella ghianda? Aristotele parla di «entelechia», altri di «modello», di «archetipo». Si deve ammettere una realtà pre-esistente, un’Intelligenza immanente che dirige le varie fasi dello sviluppo dal seme all’albero, dalla cellula o cellule germinali all’organismo completo.

L’altro simbolo, molto usato fin dai tempi più antichi, è quello del fiore, in particolare del loto (India) e della rosa (Persia, Europa). Il simbolismo del loto è il più aderente a ciò che avviene nell’uomo. Il loto ha le radici nella terra, il suo stelo cresce nell’acqua, e il fiore si apre nell’aria per l’azione dei raggi del sole. Gli orientali vedono in questo il simbolo dell’uomo, il quale ha un corpo fisico, una base terrestre; che psicologicamente si sviluppa nella sfera delle emozioni («acqua») e della mente («aria»). Il risveglio della coscienza spirituale corrisponde all’aprirsi del fiore prodotto dall’azione vivificatrice del sole, simbolo dello Spirito. Inoltre gli orientali ritengono che l’anima stessa dell’uomo sia come il fiore del loto e che abbia nove «petali» principali, distinti in tre gruppi. Il primo gruppo corrisponderebbe alla conoscenza spirituale, il secondo all’amore spirituale, il terzo alla potenza spirituale. Al centro sta «il Gioiello nel loto», l’Essenza divina, che si rivela soltanto quando l’uomo è pienamente sviluppato spiritualmente. Alcuni metodi di sviluppo e di meditazione orientali si basano su questo simbolismo del loto.

Lo stesso si può dire della rosa. Il suo simbolismo proviene dalla Persia, dove i poeti mistici parlano della rosa in questo senso simbolico. In Europa troviamo Le Roman de la Rose(poema allegorico scritto da Guillaume de Lorris tra il 1225 e il 1240, è di ispirazione cortese e trovadorica, n.d.r.), la «rosa mistica» di Dante, certi movimenti segreti, in particolare quello dei «Rosa+Croce». Il simbolo della rosa è stato usato in uno speciale esercizio, che è molto efficace per promuovere e favorire l’aprirsi, lo sbocciare della coscienza spirituale (vedi Appendice).

Il simbolo dello sviluppo si può applicare a due stadi diversi: il primo, dal bambino all’adulto ordinario; il secondo, dall’uomo «normale» all’uomo risvegliato spiritualmente.

Maria Montessori – che tanto si è occupata dell’educazione dei bambini rivoluzionando i precedenti sistemi educativi – dice giustamente: «Il bambino sviluppa attivamente in se stesso l’uomo, e svolge gioiosamente tale compito quando l’adulto che gli sta vicino non glielo impedisce con il propinargli i tesori della sua sapienza. Il bambino è il seme umano; come nella ghianda c’è la quercia, così nel bambino vi è in embrione l’adulto». Per quanto il metodo di Maria Montessori sia stato rivoluzionario, ricordiamo che già Plutarco diceva:«L’uomo non è un vaso da riempire, ma un fuoco da suscitare». Educare, infatti, dovrebbe essere – come etimologicamente significa – «e-ducere», tirar fuori (dal di dentro),sviluppare.

Per quanto riguarda la seconda fase dello sviluppo dell’uomo, possiamo dire che ciò rappresenta veramente il passaggio ad uno stadio praticamente superumano, l’entrata nel Regno di Dio – simbolicamente parlando – nel quinto regno della natura, diverso dal quarto regno come questo lo è dal terzo, il regno animale. Non dobbiamo disprezzare il nostro corpo appartenente al terzo regno; ma pur avendo un corpo animale, siamo tuttavia esseri autocoscienti; così l’essere super-umano (il genio, il santo, il saggio, l’eroe) ha un corpo animale ed una personalità umana, ma al tempo stesso è qualcosa di più: un essere spirituale.

IX – Potenziamento

La nona serie di simboli, soprattutto moderni, è quella del potenziamento, dell’intensificazione. La conquista spirituale si può considerare come un potenziamento, un’intensificazione della coscienza della vita; una tensione, un «voltaggio» psico-spirituale diverso, superiore a quello in cui vive l’uomo medio normale. Hermann Keyserling parla di una «dimensione della intensità», associando il simbolismo della intensificazione con quello del procedere lungo una dimensione diversa, che egli chiama «verticale» (mentre le altre sono orizzontali). Parlando di dimensione «verticale», egli non intende il termine nel suo significato ordinario; egli intende una «verticalità» che sale dal mondo del divenire, del fluire, verso il mondo dell’essere, della trascendenza. Egli applica questo simbolo anche al tempo; un «passare verticalmente» dal tempo all’eterno extratemporale.

Anche il potenziamento ha due stadi o gradi: il primo consiste nel potenziamento di tutte le energie e funzioni latenti sottosviluppate o male sviluppate nell’uomo. Un saggio di William James intitolato «Le Energie degli Uomini», illustra efficacemente una quantità di possibilità energetiche esistenti nell’uomo, quando questi voglia scoprirle, attivarle ed usarle.

Il secondo grado del potenziamento è quello che permette il passaggio dal regno umano al regno superumano, di cui si è detto sopra. Si ha qui la manifestazione dei vari poteri supernormali. In ogni tempo, tali poteri, assieme ed oltre alle doti etico-spirituali superiori, sono stati ascritti agli illuminati, ai risvegliati, agli iniziati, ai «maghi»: da Mosè a Pitagora, dal Buddha al Cristo, ai vari santi; alcuni di essi li hanno usati deliberatamente e coscientemente, altri, spontaneamente, anche contro la loro volontà (come nel caso di mistici e di santi). Si potrebbe dire che quei poteri sono una conseguenza naturale, un «sottoprodotto» della realizzazione spirituale.

X – Amore

Il decimo gruppo di simboli è quello dell’amore. Lo stesso amore umano è, sotto un certo rispetto, un desiderio ed un tentativo – più o meno cosciente – di uscire da se stessi, di trascendere i limiti della propria esistenza separata, di entrare in comunione, di fondersi con un altro essere, con un «tu». I devoti ed i mistici di tutti i tempi hanno parlato delle loro esperienze di comunione con Dio o con Esseri superiori usando il simbolismo dell’amore umano. Basta ricordare il Cantico dei Cantici della Bibbia e le espressioni – talvolta di un’audacia sorprendente – di Santa Caterina da Siena e di San Giovanni della Croce.

XI – Via, sentiero, pellegrinaggio

Undecimo gruppo di simboli comprende quelli della Via, del Sentiero, del Pellegrinaggio.Anche questo è stato ed è d’uso universale. Nella tradizione esoterica si parla del «sentiero del discepolo», della via dell’Iniziazione, con le sue varie «porte». Nelle religioni si usa il termine di «via mistica».

Il simbolo del «pellegrinaggio» spesso è stato ed è usato anche in modo fisico ed esterno, mediante i pellegrinaggi ai vari «Luoghi Santi». Il passaggio di Dante attraverso l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso, è stato detto un pellegrinaggio. Si ricordi anche il noto Pilgrim’s Progress del Bunyan.

XII – Trasmutazione, sublimazione

Veniamo ora al dodicesimo gruppo: i simboli di trasmutazione. Il corpo può essere trasmutato mediante un processo di trasformazione psicospirituale rigenerativa (durante tale processo si sviluppano anche poteri psicofisici e parapsicologici). La psiche si armonizza con lo spirito e include il corpo, raggiungendo una unità organica ed armonica di tutti gli aspetti dell’uomo, una «bio-psicosintesi». È una vera alchimia spirituale.

Quando si parla di alchimia, si pensa ai tentativi di «fare l’oro» (cosa che pareva incredibile, ma che ora sembra meno fantastica da quando l’uomo manipola gli atomi trasformando un elemento in un altro); ma in realtà i libri di alchimia araba e medievale usavano spesso un linguaggio simbolico per esprimere l’alchimia psico-spirituale, cioè là trasmutazione stessa dell’uomo. Ciò è stato riconosciuto da vari studiosi moderni, soprattutto dallo Jung, il quale negli ultimi anni della sua vita ha dedicato molto tempo e vari scritti al simbolismo alchemico. Nella sua opera Psicologia e Religione ne parla diffusamente, indicando anche come egli ritrovasse tale simbolismo nei sogni dei suoi malati e nei disegni dei malati e dei sani.

XIII – Nuova nascita, rigenerazione

Il tredicesimo gruppo è quello della rigenerazione, della «nuova nascita». Esso è connesso col precedente poiché una completa trasmutazione e trasformazione prepara o apre la via alla rigenerazione. Questa, nel suo significato più profondo ed essenziale, costituisce una «nuova nascita»: la nascita dell’«uomo nuovo», dell’uomo spirituale entro la personalità. Gli indiani chiamano i brahmani dwigia, cioè nati due volte. Nel Cristianesimo questo simbolo è stato molto usato e vari mistici hanno parlato della «nascita del Cristo nel cuore».

XIV – Liberazione

Il quattordicesimo gruppo di simboli è quello della «liberazione». Esso ha rapporto con quello dello sviluppo. Questo, cioè l’eliminazione dei «viluppi», è un processo di liberazione dai nostri complessi, dalle nostre illusioni, dalle identificazioni con le varie «parti» che recitiamo nella vita, con le varie «maschere» esistenti in noi, con i nostri idoli, ecc. È uno «sprigionamento», nel senso etimologico del termine, una liberazione ed attivazione delle potenzialità latenti.

In questo processo di liberazione si ha un primo stadio di dualismo: occorre, infatti, disidentificarsi dal corpo, dalle emozioni, dal nostro piccolo «io» personale, distinguersi da essi, per poterli poi trasmutare.

Il simbolismo della liberazione ha pervaso tutte le grandi religioni del mondo. In India, il Buddha disse: «Come l’acqua del mare è tutta pervasa dal sale, così tutta la mia dottrina è pervasa dalla liberazione». Nel Cristianesimo, S. Paolo ha affermato la «libertà dei Figli di Dio». Dante fa dire di sé a Virgilio nel discorso a Catone:

«libertà va cercando, ch’è si cara,
come sa chi per lei vita rifiuta».
(Purg. I, 71-72)

E ai giorni nostri, durante la seconda guerra mondiale, Franklin Roosevelt proclamò al mondo la Quattro grandi libertà:

Libertà di espressione; libertà religiosa; liberazione dal bisogno; liberazione dalla paura.

L’ultima, la liberazione dalla paura, è fondamentale, poiché soltanto chi si è liberato dalla paura è veramente libero. Un’espressione semplice, primitiva ma genuina, dell’anelito alla libertà è contenuta nella canzone di Domenico Modugno: «Libero», le cui parole lo proclamano efficacemente.

Qui però ci troviamo di fronte ad un paradosso: in contrasto al suo spontaneo anelito alla libertà, l’uomo ha allo stesso tempo paura della libertà! Ciò si spiega col fatto che la libertà implica impegno, autodominio, coraggio, ed altre qualità della vita spirituale. Com’è stato giustamente detto: «il prezzo della libertà è una continua vigilanza». La libertà va riconquistata o salvaguardata ogni giorno, si potrebbe dire ogni istante; non basta «liberarsi» una volta per tutte. L’uomo, anche quello che non si rende ben conto di questo, lo intuisce, ha paura della libertà e, di conseguenza, ne rifugge. Nel suo romanzo La peur de vivre,Henri Bordeaux mette in evidenza quello che la psicoanalisi chiama il voler rimanere ad uno stadio preadulto, o anche il voler regredire e rifugiarsi nell’infanzia. Questa, del resto, è una tendenza frequente, e certamente, se guardassimo entro di noi, troveremmo chissà quanti elementi infantili e retrivi. I «nostalgici» di tutti i tempi, coloro che rimpiangono «i tempi aurei» sono continui esempi di questo «torcicollo psicologico». Ma quella tendenza è vana e dannosa; vana poiché ogni tentativo di arrestare il potente e grandioso corso della vita in noi ed attorno a noi è destinato a fallire; dannosa poiché non può dare alcun risultato positivo ed invece può produrre gravi conflitti e disturbi neuropsichici.

XV – Resurrezione, ritorno

Siamo ora giunti al quindicesimo gruppo di simboli, quello della resurrezione e del ritorno;quello che nel Vangelo è detto «il ritorno del figliol prodigo alla Casa del Padre». Questo non è un ritorno a stadi anteriori; esso indica il ritorno all’Essere primordiale, originario, e presuppone una dottrina emanatistica* dell’anima, la quale è discesa, si è immersa nella materia e poi ritorna alla sua «Casa», alla patria celeste, ma non quale era prima, bensì arricchita dall’esperienza dell’autocoscienza maturata nel travaglio e nel conflitto.

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* Emanatismo – Concezione filosofica orientale, fatta propria dal neoplatonismo, secondo la quale gli esseri derivano da Dio attraverso un processo di «emanazione». Questa consiste nella diffusione spontanea, paragonabile ad una irradiazione continua, della potenza assoluta di Dio, che fa sorgere gli enti restando uno ed immutabile. L’emanazione da luogo ad una molteplicità di esseri disposti in una gerarchia, contraddistinta dalla progressiva perdita di perfezione e quindi di essere: si parte dalla prima intelligenza emanata (o Logos), che è molto vicina in perfezione all’Uno originario, e si giunge sino alla materia o non essere o male, che è il limite inferiore ed ultimo della gerarchia. (n.d.r.)
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Vi è poi un altro « ritorno », la più alta forma di ritorno; il ritorno al mondo di quegli Esseri che, per un atto d’amore e di compassione, hanno scelto di aiutare coloro che sono ancora ciechi, addormentati, prigionieri. È il ritorno di quegli Esseri spirituali, liberi, svincolati, che non hanno più nulla da imparare, da chiedere e da desiderare nel mondo, ma che vi ridiscendono per redimere gli altri, divenendo così dei collaboratori di Dio, dei «liberati liberatori». Nel Buddhismo questo è chiamato la rinuncia al Nirvana; nel Cristianesimo, l’opera di co-redenzione.

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Appendice – Esercizio Della Rosa

Introduzione:

Il fiore è stato generalmente considerato ed usato quale simbolo dell’Anima, del Sé spirituale, tanto in Oriente quanto in Occidente.

In Cina un antico testo taoista tratta dei significati profondi del «Fiore d’Oro»*. In India è stato ed è usato il simbolo del Loto (la nostra ninfea) che ha le radici nel limo, lo stelo nell’acqua, ed il cui fiore si apre nell’aria sotto i raggi del sole.

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* Fiore d’Oro – Esso è stato commentato ampiamente da C. G. Jung nel vol. Das Geheimnis der goldenen Blute di R. Wilhelm e C. G. Jung (Munchen, 1929). Traduzione italiana Il Mistero del Fiore d’Oro (Ediz. Gius. Laterza & Figli, Bari).
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Nella Persia ed in Europa è stata usata di preferenza la rosa. Accennerò soltanto al Roman de la Rose dei Troubadours; alla «rosa mistica» mirabilmente descritta da Dante nel Paradiso (Canto XXIII); alla rosa al centro di una croce, simbolo dell’Ordine dei Rosa+Croce.

In generale è stata usata l’immagine del fiore già aperto come simbolo dello Spirito e la sua visualizzazione è molto suggestiva ed evocatrice. Ma ancora più efficace e suscitatore di energie e di processi psico-spirituali, è l’uso «dinamico» del simbolo, cioè la visualizzazione del passaggio, dello sviluppo, dal boccio chiuso al fiore pienamente aperto.

Il simbolo dello «sviluppo» corrisponde ad una realtà profonda, ad una legge fondamentale della vita, manifestantesi tanto nei processi della natura, quanto in quelli dell’animo umano.

Il nostro Essere spirituale, il Sé, che è la parte essenziale e più reale di noi, è, di solito, celato, chiuso, «avviluppato»: anzitutto dal corpo con le sue sensazioni, poi dalle molteplici emozioni ed impulsi (paure, desideri, attrazioni e repulsioni, ecc.) e dall’attività mentale inquieta e tumultuosa. È necessario togliere o «allargare» questi viluppi, affinché si riveli il Centro Spirituale.

Questo avviene, tanto nella natura quanto nell’animo umano, in virtù dell’azione mirabile e misteriosa della vitalità, biologica e psicologica, che «dal di dentro» urge ed opera in modo irresistibile. Perciò il simbolo, anzi il principio della crescita, dello sviluppo, dell’evoluzione, è stato e viene sempre più utilizzato nella psicologia e nell’educazione e su di esso si basano la concezione e la pratica della psicosintesi. Una sua applicazione è l’esercizio che verrà ora descritto.

Tecnica dell’Esercizio:

Questo esercizio può essere fatto individualmente o in gruppo. Nel primo caso è opportuno imparare bene i vari stadi, in modo da poterli ricordare con facilità. Nel secondo caso, chi dirige l’esercitazione ne espone lentamente, con pause opportune, lo svolgimento nel modo seguente:

Immaginiamo un boccio di rosa chiuso. Visualizziamo lo stelo, le foglie e, alla sommità dello stelo, il boccio. Questo appare verde perché i sepali sono chiusi; tutto al più in cima si vede, apparire un punto rosa. Cerchiamo di visualizzarlo in modo vivido, mantenendo l’immagine al centro della coscienza.

Mentre lo osserviamo, vediamo che poco a poco si inizia un lento movimento; i sepali cominciano a divaricarsi, a voltare le loro punte verso l’esterno, lasciando così scorgere i petali rosei, chiusi.

I sepali si divaricano sempre più si vede bene il boccio dei petali di un bel rosa tenue.

Ora anche i petali cominciano ad allargarsi, il boccio continua ad aprirsi lentamente finché la rosa si rivela in tutta la sua bellezza, che ammiriamo con gioia.

A questo punto, cerchiamo di sentire, inalando, il profumo della rosa, il profumo caratteristico ben noto … tenue, dolce, piacevole … lo odoriamo con piacere. – Anche il simbolo del profumo è stato spesso usato nel linguaggio religioso e mistico (l’«odore di santità»), e così pure l’uso dei profumi nei riti (incenso, ecc.).

Poi visualizziamo tutta la pianta e immaginiamo la forza vitale che sale dalle radici fino al fiore producendo questo sviluppo.

Restiamo in contemplazione riverente di questo miracolo della natura.

Ora, identifichiamoci con la rosa o, più esattamente, «introiettiamo» la rosa in noi.

Noi siamo, simbolicamente, un fiore, una rosa; la stessa Vita che anima l’universo, che ha prodotto il miracolo della rosa, sta producendo in noi uno stesso, anzi maggiore, miracolo: lo sviluppo, l’apertura, l’irradiazione del nostro essere spirituale. E noi possiamo cooperare coscientemente alla nostra fioritura interiore.

di Roberto Assagioli


Video: una rosa rossa che sboccia


Fonti:
www.scienze-astratte.it
esonet.it


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