Spiritualità

IL PERCORSO DELL’ANIMA NEI CULTI SOLARI

di Alessandro Orlandi

Trattare approfonditamente il culto solare nelle diverse mitologie e religioni richiederebbe lo spazio di una enciclopedia. Basti pensare all’importanza del culto solare nell’antico Egitto, presso le civiltà mesoamericane (in particolare per gli Incas, i Toltechi e gli Aztechi), in India, nella civiltà Assiro-Babilonese, presso i greci, nella mitologie celtica, artica e nord asiatica, e al culto orientale del dio-Sole Mitra, che per alcuni secoli divenne la religione ufficiale dell’Impero Romano.

Ci limiteremo quindi in questo articolo ad alcuni aspetti del simbolismo solare e ad alcune civiltà più vicine alla storia dell’Occidente.

Alcune associazioni simboliche tra il Sole e qualità come selettività, coraggio, intelletto, chiarezza, creatività, immortalità, immutabilità sono pressoché universali. Le ultime due caratteristiche sono spesso alla base di proprietà meno evidenti, che molte civiltà (ad esempio i greci ed alcune tribù australiane) hanno attribuito al Sole. Poiché, a differenza della Luna, che nel corso di un mese muta il suo aspetto fino ad oscurarsi completamente, “morendo” e poi rinascendo, il Sole conserva, un giorno dopo l’altro, il suo aspetto immutato, gli viene attribuita la capacità di attraversare l’Oltretomba senza subirne le conseguenze, senza conoscere la morte. Quando il Sole cala oltre l’orizzonte, al tramonto, si immagina che attraversi il regno dei morti e, quando riappare all’alba, che ne sia uscito vittorioso e indenne. Spesso allora il Sole è visto come psicopompo, colui che accompagna le anime dal regno dei vivi a quello dei morti, dalla veglia al sonno e viceversa. Un analoga associazione viene fatta durante il corso dell’anno: dal solstizio di inverno a quello estivo le ore di luce crescono e, viceversa, dal solstizio estivo a quello invernale diminuiscono. Questo fenomeno naturale ha determinato una visione del microcosmo e del macrocosmo secondo la quale i solstizi sono due porte dalle quali la Luce e l’Ombra fanno irruzione nel mondo. Anche i 12 mesi dell’anno, in questa visione, vengono intesi come altrettante tappe che il Sole deve percorrere durante il suo percorso e le dodici costellazioni che sorgono all’orizzonte all’alba durante questi mesi, dall’Ariete ai Pesci, divengono simboli delle “prove” che il Sole dovrà superare per completare il suo cammino. Nella mitologia greca (ma anche in quella assiro-babilonese) l’uomo paragona se stesso al Sole: anche gli esseri umani nel loro cammino evolutivo (che comprende talvolta anche il percorso sotterraneo dell’anima nell’Oltretomba che condurrà alla rinascita) devono superare 12 prove indicate dai 12 segni dello zodiaco celeste. Chi riuscirà in questa impresa (le 12 “fatiche” di Ercole e di Gilgamesh) diverrà un eroe solare, conquisterà l’immortalità, avrà percorso vittoriosamente la via di integrazione dell’Ombra.

Si tratta del percorso di iniziazione ai culti solari: ognuna delle dodici prove è legata a una qualità che l’iniziato acquisirà solo dopo averla superata. Tracce di queste antiche credenze sono sedimentate nelle tradizioni e nel folklore popolari e in particolare nel culto del Natale, giorno della rinascita del Sole invincibile che riemerge dal mondo delle tenebre determinando una durata maggiore delle ore di luce che erano andate decrescendo fino al giorno del solstizio (il “Ramo d’oro” di Frazer è una vera e propria miniera a questo proposito). Nella tradizione alchemica occidentale le dodici stazioni del Sole hanno spesso questo stesso significato: sono altrettante porte che l’alchimista deve superare per conseguire la Grande Opera, altrettante trasformazioni che la Materia Prima dovrà subire prima di poter diventare Pietra Filosofale.

Si pensi ad esempio a trattati alchemici come “Le 12 chiavi della filosofia” di Basilio Valentino o alle “Dodici porte dell’alchimia” di George Ripley.

Anche la vita del Cristo (legato alla simbologia lunare, come del resto Osiride, per il suo destino di morte e resurrezione) è stata messa in relazione con questo simbolismo.

Le due porte dei solstizi hanno significati simbolici non troppo distanti tra loro sia nella tradizione cristiana che in quella induista: nelle Upanishad il solstizio di inverno viene assimilato alla porta dalla quale le anime dei saggi yogin escono dalla catena delle rinascite per non ritornare più in questo mondo, mentre la porta del solstizio di estate è quella che devono varcare le anime ancora legate a questo mondo “lunare” e illusorio per tornare a reincarnarsi in una nuova esistenza: “Prajapati è invero l’anno, due sono le sue vie: una verso il sud, l’altra che volge a nord. Coloro i quali considerano come atto il compimento dei sacrifici e dei doveri religiosi, costoro conseguono il mondo lunare e di nuovo tornano quaggiù. Questo è il motivo per cui i saggi che desiderano prole procedono per il cammino che mena a sud. La fruizione del mondo dei sensi è infatti la via dei padri. Coloro i quali, invece, avendo ricercato per la via del nord il proprio Sé mediante ascesi, studio, fede, conoscenza, conseguono il Sole; costoro invero non ritornano più quaggiù perché hanno raggiunto la sede dei soffi vitali che è l’immortalità, la non-paura, il fine supremo. Questa è l’estinzione del ciclo della rinascita.” [Prasna Upanishad 1.9 e 1.10]

Nella tradizione cristiana troviamo due porte che sono spesso rappresentate in bassorilievo sulla facciata delle cattedrali gotiche (ad esempio a Chartres). Una porta viene detta “della vergine folle”, raffigurata come colei che dissipa il contenuto di un calice rovesciandolo in terra, e una porta detta “della vergine saggia”, che ha cura del calice e ne custodisce il contenuto senza versarlo.

Si tratta di nuovo delle due porte solstiziali e quella legata al solstizio estivo è quella che si colora di significati negativi. René Guenon esaminò questo simbolismo delle due porte nella sua opera “I simboli della scienza sacra” dedicando anche un breve saggio alle due feste di san Giovanni, quella invernale e quella estiva.

La tradizione alchemica ha attraversato e si è intersecata con la tradizione e col simbolismo cristiano, come un fiume sotterraneo che a tratti ricompaia a cielo aperto. L’Opus alchemicum è noto come Opera del Sole e il segreto più gelosamente custodito tra quelli che gli scritti alchemici ri-velano è che esiste qualcosa che la Natura ha orientato verso l’esterno e che l’Arte alchemica deve rovesciare verso l’interno: “…L’esterno è portato all’interno, l’interno è manifestato all’esterno…per questo è chiamato Oro Probo” dice Isacco l’Olandese, e Huginus a Barma aggiunge: “A meno di non invertire l’ordine della Natura, voi non genererete dell’oro che prima non sia stato argento…Nulla di estraneo entra nella nostra Opera, essa non ammette e non riceve nulla che provenga da altrove”. Non per nulla l’Opera alchemica veniva anche denominata “Opus contra Naturam”. Scorgendo significati analoghi nel simbolismo cristiano, l’alchimista Esprit Gobineau de Montluisant in un suo trattatello sui bassorilievi della facciata di Notre Dame a Parigi, fa notare una strana inversione tra i segni zodiacali del Cancro e del Leone…

Si associano erroneamente le divinità solari solo alla luce, all’intelletto, alla forza vitale. Si dimentica che Apollo era anche dio dei serpenti, della mantica e degli oracoli enigmatici, della divinazione delle Sibille, era il dio che aveva il potere di diffondere le epidemie.

Nelle iniziazioni del mondo antico la via solare prevedeva una discesa nelle tenebre dell’Oltretomba e l’incontro con una entità pericolosa e tenebrosa che l’adepto doveva affrontare vittoriosamente.

Questa discesa veniva rappresentata ritualmente nell’antica Grecia con la danza del labirinto (cfr. K. Kerenyi, “Nel labirinto”). I danzatori percorrevano una spirale concentrica che conduceva al centro del labirinto tenendo in mano una corda che rappresentava un raggio di sole. Le volute del labirinto, i cerchi concentrici della spirale, non erano altro che una rappresentazione simbolica degli archi descritti dal sole nell’avvicendarsi dei giorni, sempre più piccoli man mano che si procede dal solstizio estivo a quello invernale. Al centro del labirinto c’era il Minotauro ad attendere i danzatori ed aveva luogo una lotta rituale che terminava con la sconfitta dell’essere teriomorfo. Uno psicanalista junghiano oggi direbbe che la lotta terminava con l’integrazione del principio ombroso e ctonio della personalità, incarnato dal Minotauro. Poi i danzatori cambiavano senso di rotazione, la spirale si svolgeva e si allargava e, alla fine, si trasformavano in gru (la danza prendeva, appunto, il nome di “Danza delle Gru”) e volavano verso il giardino delle Esperidi dove si cibavano delle mele dell’immortalità. Chiunque abbia visitato il museo di Atene sa che sui vasi funerari appaiono labirinti, doppie spirali, uccelli palustri e svastike. Questi simboli alludono alla Danza delle Gru, che riguardava sia gli iniziati ai Misteri che coloro che varcano i cancelli dell’Ade e affrontano l’Oltretomba. Le svastike sono solo una variante del simbolismo di cui abbiamo parlato, perché, a seconda del senso di rotazione, rappresentano l’avvolgersi della spirale e l’incontro col princìpio oscuro, ossia il cammino del Sole dopo il solstizio estivo, oppure il suo svolgersi, che ha termine col volo delle gru verso le Esperidi.

Anche nei Misteri di Dioniso e di Osiride questi dèi conoscevano un destino di morte e resurrezione, di smembramento e ricostituzione delle parti e, nel caso di Dioniso, l’artefice della rinascita del dio era suo fratello Apollo, il Sole [1]. E’ probabile che le dodici fatiche di Ercole fossero anche le dodici prove che gli adepti dovevano affrontare prima di potersi dire iniziati. Si tratta quindi di dodici allegorie che parlano all’anima attingendo il loro significato da ciò che accade alla terra durante l’avvicendarsi delle stagioni. Nel linguaggio dei simboli il mondo è un “Mutus liber” che parla all’eroe solare indicandogli la via verso la Liberazione [2].

Ritroviamo gli stessi temi anche nel culto Mitraico, culto solare per eccellenza nel mondo antico.

Tra il II e il III secolo D.C. il mitraismo era diventato il culto ufficiale dell’Impero romano (per lo meno dell’esercito romano) e Franz Cumont, uno dei maggiori storici del mitraismo, scriveva, citando Ernest Renan, che “se il cristianesimo non fosse mai nato, oggi l’umanità sarebbe mitraica”. Nel culto di Mitra, che aveva origini persiane, l’universo era teatro di una lotta titanica tra le forze del bene, impersonate dal dio del cielo Ahura Mazda, e le forze del male e delle tenebre, impersonate da Ahriman. L’uno e l’altro disponevano, rispettivamente, di schiere di angeli e demoni. Mitra era un dio del sole interiore, schierato con le forze angeliche della luce contro le tenebre e il male. Questo carattere “guerriero” della teologia persiana contribuì a determinarne il successo presso i militari romani. Mitra faceva parte di una trinità con Cautes e Cautopates, i dadofori o portatori di fiaccola, due “doppi” di Mitra raffigurati uno (Cautes) con una fiaccola alzata e un gallo (alba, primavera-estate, giovinezza, crescita e maturità), l’altro (Cautopates) con la fiaccola abbassata e uno scorpione (tramonto, autunno-inverno, vecchiaia, declino e morte). Il culto mitraico si configurava come una vera e propria religione dell’astrologia e gli dèi venerati erano i dodici segni dello zodiaco , i sette pianeti allora noti, le quattro stagioni e le personificazioni delle varie suddivisioni del tempo (secoli, anni, mesi, stagioni, ore). Maestro del Tempo e dei suoi cicli era un dio chiamato Zurvan, o Saeculum, o Aion o Cronos, rappresentato come un uomo alato con la testa di leone, che aveva in una mano un fulmine e nell’altra le chiavi che aprono le porte del cielo. L’ascesa dell’anima, l’attraversamento delle porte dei cieli, era spesso simboleggiata nei templi da una scala con otto gradini, ognuno di un metallo diverso. Questa stessa scala, queste stesse porte, dovevano essere attraversate dagli iniziati ai Misteri di Mitra durante la vita. I gradi iniziatici erano sette, ciascuno legato a un pianeta e spesso durante le cerimonie gli iniziati indossavano maschere di animali (in particolare i Corvi e i Leoni). I preti erano scelti tra i Patres, il massimo grado iniziatico del mitraismo.

Dal grado di Leo in poi, gli iniziati partecipavano alla comunione con acqua e vino e i pani erano marcati con una croce. Il pane e il vino venivano assimilati al midollo e al sangue del toro celeste (che si trasformavano in pane e in vino durante il rito mitraico dell’uccisione del toro).

Il prete di Mitra, capo della piccola comunità di fedeli che si riuniva nel mitreo, (i Pater, venivano detti anche Magi) vegliava su un fuoco perpetuo che bruciava sull’altare. Accanto al fuoco compivano le cerimonie di saluto al sole. Invocavano ogni giorno della settimana come pianeta in un luogo particolare della cripta e ogni mese offrivano sacrifici al corrispondente segno dello Zodiaco, e solenni cerimonie avevano luogo ai solstizi e agli equinozi. Durante la messa mitraica, al suono delle campanelle, veniva scoperta la statua del taurobolio e mediante un tabernacolo mobile, venivano mostrati i vari episodi della vita del dio Mitra, illustrati dal Pater. A questo proposito i magi mitraici narravano agli iniziati un ciclo di leggende sul dio Mitra: il dio nasceva nella notte del 25 dicembre (giorno natale del sole invitto) da una pietra (era chiamato θεος εχ πέτρας e si adorava nei suoi sacrari un’immagine della pietra generatrice), in una grotta o sotto un albero sacro di fico al bordo di un fiume, stringendo in una mano il coltello sacrificale e nell’altra una torcia. Una seconda leggenda sulle origini di Mitra narrava che egli fosse nato in una grotta da una vergine. Il dio veniva anche rappresentato nell’atto di scagliare una freccia contro una roccia, da cui poi scaturiva dell’acqua.

Il primo atto che lo rappresenta in un mito è la lotta con Elios o Apollo, cioè con il Sole. Uno degli enigmi principali della religione mitraica è proprio il fatto che Apollo e Mitra erano due distinte divinità, entrambe raffiguranti il sole, che dovevano riconciliarsi e “fare amicizia”. Dopo aver lottato con il Sole (lo colpisce con una sorta di sacchetto di monete), Mitra riceve da Elios una corona e diviene suo amico (sono rappresentati nell’atto di stringersi la mano destra). Da allora condivideranno le imprese e si aiuteranno l’un l’altro. Questa armonia raggiunta tra i due aspetti del Sole, quello sotterraneo (le grotte del culto del dio Mitra) e quello esteriore, spiega perché Mitra, l’invincibile, venisse invocato sia nei combattimenti esterni, che in quelli interiori (contro le forze delle tenebre inviate da Ahriman) e fosse collegato sia con il mezzogiorno che con la mezzanotte.

Nessun testo scritto ci è pervenuto e le leggende sono desunte unicamente dalle immagini dipinte nelle grotte. Le altre fonti sono le invettive cristiane contro i riti mitraici – molto simili a quelli cristiani – ad es. “Contro Celso”. La più importante tra le leggende narrate dai magi riguardava il duello di Mitra con il Toro Celeste, il primo essere creato da Ahura Mazda.

Apparentemente è proprio Elios che incarica Mitra di catturare il Toro celeste. Dopo una lunga lotta, Mitra riesce ad afferrare il toro per le corna. Il toro, legato, è condotto dal dio, che cammina all’indietro, nella caverna dove Mitra abita. La strada è disseminata di prove che il dio deve affrontare. Questa traversata (transitus) era paragonata alle prove affrontate dai neofiti nell’iniziazione. Il toro, tuttavia, riesce a fuggire. Il Sole-Elios invia allora a Mitra il suo messaggero, il corvo, con l’ordine di uccidere il toro. Mitra compie questa missione controvoglia, ma si sottomette agli ordini celesti e, con l’aiuto del cane, suo fido compagno, insegue il toro e lo sacrifica mentre questo sta rientrando nella grotta. Dal corpo della vittima nascono allora le erbe e le piante salutari che fanno fiorire la terra (il grano dalla coda-spina dorsale, il vino dal sangue). Gli inviati dell’oscurità, di Ahriman, lo scorpione, il serpente e la formica, tentano di nutrirsi del liquido seminale del Toro (in particolare lo scorpione) e di succhiare il sangue della bestia morente. Anche il cane lecca il sangue del toro. Il seme del toro, raccolto dalla luna, produce tuttavia le specie animali, e la sua anima, condotta dal cane, viene elevata in cielo e divinizzata come “Pan” o “Silvano”, guardiano delle greggi.

Alla fine dei tempi il toro scenderà dal cielo e i morti risorgeranno dalle tombe per il giudizio finale. Allora Mitra sacrificherà di nuovo il Toro Divino e farà libagioni con il vino che dà l’immortalità, e Ahriman e le forze del male saranno definitivamente sconfitti. Nella genesi mitraica la prima coppia umana viene chiamata all’esistenza dopo il taurobolio. Ahriman tenta di annientarla con la siccità, ma Mitra fa sgorgare l’acqua da una roccia, colpendola con una freccia.

Dopo l’uccisione del toro, Mitra è rappresentato in una “ultima cena” mistica con pane e vino, con Helios e i vari gradi iniziatici del culto. Quindi ascende al cielo. Dal cielo continuerà ad aiutare gli uomini.

Gli animali che compaiono nella vicenda del taurobolio corrispondono tutti ad altrettante costellazioni, tutte comprese tra la costellazione della Vergine e quella dello Scorpione. Tra gli animali inviati da Ahriman, lo scorpione rappresenta simbolicamente la sensualità, la formica l’avidità e l’accumulazione, il serpente l’attaccamento alla terra e le illusioni della mente. Il cane, amico di Mitra, rappresenta invece gli istinti addomesticati dall’uomo. Comandamenti per gli iniziati, che periodicamente assistevano ad autentici tauroboli e venivano inondati dal sangue dell’animale ucciso, erano la purezza (purificazioni), l’astinenza da certi alimenti, e la continenza assoluta, potendo la sessualità essere utilizzata da Ahriman come suo strumento.

Vorremmo attirare l’attenzione sui principali punti che caratterizzano i misteri mitraici:

1. Apollo e Mitra rappresentano due aspetti del Sole e la loro lotta appare come una lotta per l’integrazione tra l’interno e l’esterno dell’uomo.

2. Il Toro come mistero dell’incarnazione dello spirito, resa possibile dall’unione dell’anima con il corpo: vivere con profondità e completezza la propria incarnazione, come un “inziato”, richiede una lotta vittoriosa tra Elios e Mitra. Per i Cretesi ciò corrispondeva a percorrere il labirinto dell’azione, che presenta sempre due aspetti, uno rivolto verso l’esterno e uno verso l’interno (si rifletta sulla probabile etimologia del termine “labirinto”: da Labrys o Lobra, “segno delle doppia ascia”). Nel labirinto si cela il Minotauro (chiamato anche Asterion, la stella), che deve essere sconfitto, cioè integrato, perché l’animus umano di Arianna (Teseo) divenga divino (Dioniso). Quindi Mitra dopo aver lottato con Elio ed averlo vinto incorona il dio del Sole e stringe un patto con lui. Il toro rappresentava, per i seguaci di Mitra, non solo la scaturigine delle energie vitali, l’origine della fertilità, ma anche il corpo psichico sottile. Per un culto che si fondava sulla dottrina della metempsicosi, della trasmigrazione delle anime, il corpo sottile era infatti il risultato delle azioni compiute e dell’attaccamento dell’uomo al frutto di quelle azioni. Non a caso Mitra, che sacrifica il toro, è un dio guerriero ed è il fondatore di una “cavalleria spirituale” (evidente nei gradi iniziatici del Perses e dell’Heliodromos).

3. Il taurobolio. Cosa deve fare l’uomo, avvinto alla terra dalla forza delle sue identificazioni con oggetti, persone, ruoli, tratti del suo carattere, con il suo stesso corpo? Perché il sacrificio, l’offerta del toro rende “fertile” l’iniziato e dona alla sua anima l’energia per unirsi ai livelli più sottili dell’essere? Cosa rappresenta simbolicamente la ferita che Mitra infligge al toro, cosa il sangue del toro e cosa il coltello sacrificale impugnato dal dio?

E’ presumibile che il percorso dell’Eroe solare abbia rappresentato per il mondo antico un punto di riferimento spirituale, un modello di comportamento capace di indicare una via di evoluzione per le energie maschili.

Oggi non abbiamo più nulla di simile. Abbiamo, è vero, la possibilità della Imitatio Christi, ma troppo spesso il percorso di trasformazione suggerito dalla vicenda del Cristo è mal compreso o del tutto ignorato. L’unico modello operante per molti è quello della autoaffermazione, del successo a tutti i costi, dell’apparire che occulta l’essere.

Abbiamo forse perduto la Via suggerita per millenni agli uomini dai processi naturali, dai segni celesti e dal cammino del sole?

di Alessandro Orlandi

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[1] Ho affrontato il tema delle iniziazioni dionisiache nel libro “Dioniso nei frammenti dello specchio”, Irradiazioni, 2007

[2] Questa tesi è sostenuta efficacemente dall’alchimista Dom Pernety nella sua opera “Le favole egizie e greche”

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Fonte: www.paxpleroma.it

Tratto da: flashdesmond.blogspot.com

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