Arte e MusicaSpiritualità

Il suono giallo

di Olga Ammann

Davanti ai colori della natura, quasi mai ci si sofferma a pensare al complesso processo neurofisiologico che ne permette la percezione, ma piuttosto si è presi da profonde emozioni. Secondo il pittore Vasilij Kandiskij (1866-1944), è addirittura possibile assegnare a ciascun colore un “suono interiore”, una “qualità musicale” che ne esprime l’essenza, da lui stesso definita nel libro Lo Spirituale nell’Arte. Il giallo è gioioso, emana energia, quando è intenso “squilla come il suono acuto di una tromba”, ma “non penetra nel profondo dell’anima”.

Nell’ambito della tradizione filosofico-religiosa orientale e di alcuni rami della medicina alternativa, ai colori che compongono lo spettro cromatico si attribuiscono particolari significati e addirittura anche effetti terapeutici.

Udire i colori, vedere i suoni. Non è un paradosso. È stato dimostrato che è possibile. Già nel 1911 la studiosa russa Sacharjin-Unkowskij ha elaborato un metodo speciale per “trascrivere la musica dei colori della natura” e per “vedere cromaticamente i suoni e udire musicalmente i colori”. Questo metodo è stato riconosciuto valido dal Conservatorio di San Pietroburgo, come riferisce il pittore Vasilij Kandinskij (1866-1944) nel suo libro Lo Spirituale nell’Arte. Kandinskij stesso ha ricercato il “suono interiore” dei colori, delle forme. Ne ha fatto addirittura un cardine della propria indagine pittorica. Il giallo, il blu, il rosso, tutti i colori, hanno “un profumo spirituale” e una “qualità musicale” che ne esprime l’essenza. Il blu ha “la vocazione alla profondità”, richiama l’infinito, “suscita la nostalgia della purezza e del soprannaturale”; nella sua dimensione più scura “ha il suono profondo di un organo”. Il giallo è gioioso, pieno di energia, ma “incapace di profondità”; quando la sua tonalità è intensa, è come “il suono acuto di una tromba”. Il verde, che invece ricorda i toni ampi e pacati del violino, esprime una quiete appagata, serena, totalmente agli antipodi del rosso, colore irrequieto, vitalissimo, che però “è poco incline alla profondità”. Le sue vibrazioni fanno pensare ai “toni appassionati e gravi del violoncello”. Il marrone, dal canto suo, è poco dinamico, ma cela “una grande bellezza interiore: il comportamento vigile, premuroso”. Il viola invece “ha in sé qualcosa di malato, di spento”. Assomiglia al “suono del corno inglese”. Immobile senza aspettative si presenta il grigio: solo quando ha una tonalità molto chiara, “è percorso da una trasparenza, una segreta speranza”. Il nero “è come un nulla senza possibilità, come un eterno silenzio senza futuro”. Dal punto di vista musicale si può paragonare a “una pausa finale”. Il bianco, infine, comunica un silenzio immenso, ricco di potenzialità: “È la giovinezza del nulla, o meglio un nulla prima dell’origine”.

Il colore dunque vibra: nella sua essenza è melodia. Come tutto, del resto, montagne, alberi, mondi. Goethe diceva che la materia, in ogni suo aspetto, è “musica congelata”. Gli antichi vedevano materia e luce come “aspetti secondari del suono”. In sanscrito, la lingua sacra dell’India, svar (luce) e svara (suono) hanno la medesima radice: anche linguisticamente i due concetti sono connessi. Secondo la tradizione indù la sillaba om vibrando nel nulla ha creato il tutto. Pure il Vangelo dice: “In principio era la Parola” (Giovanni 1,1). Ma anche la nostra scienza conferma in qualche modo le intuizioni degli antichi: sappiamo infatti che ogni atomo produce vibrazioni che raggiungono la cifra elevatissima di 10 seguito da 14 zeri per secondo, emettendo, come specifica lo studioso americano Ken Carey, una singola nota circa venti ottave al di sopra della nostra capacità uditiva. Persino il DNA può avere la sua musica. Lo ha dimostrato un esperimento condotto dal genetista Susumu Ono, al Beckman Research lnstitute di Duarte, in California. Lo scienziato ha assegnato una o due note a ciascuna delle quattro basi dei nucleotidi, le sostanze componenti il DNA: do alla citosina, re e mi all’adenina, fa e sol alla guanina, la e si alla timina. Naturalmente, ha scelto anche la chiave musicale, il tempo, la durata di ogni nota. Dopo due anni di ricerche, Ono ha ottenuto oltre quindici temi musicali “prodotti” dal DNA di vari organismi viventi e ha appurato che più un organismo è evoluto, più complicati sono i suoni emessi. Dal DNA umano scaturisce una melodia maestosa che ricorda la musica di Bach e Brahms. Ovviamente, come specifica Larry Dossey, medico americano, l’assegnazione delle note di Ono è arbitraria. Ciò che conta nell’esperimento è che il DNA ha una struttura che può essere correlata con la musica. Ancora oggi, nell’India rimasta fedele alla tradizione, uno yogi, cioè un saggio, conoscendo l’essenza sonora delle manifestazioni della realtà (esseri viventi, oggetti, fenomeni) può influire sulla loro esistenza migliorandola o distruggendola. Si può anche curare qualcuno. Basta essere in grado di comprendere la gigantesca sinfonia della natura e la musica del nostro corpo. “Ogni malattia è un problema musicale, ogni cura è una soluzione musicale”, aveva intuito il poeta tedesco Novalis (1772-1801) alla fine del Settecento. La “medicina vibrazionale”, uno dei rami alternativi della medicina occidentale, conferma le sue parole. Scrive infatti il dottor Richard Gerber, che esercita a Detroit e ha dedicato un libro di oltre cinquecento pagine all’argomento (Vibrational Medicine: New Choices for Healing Ourselves, Bear & Company, 1990): “Possiamo concepire nuovi modi di vedere la salute e la malattia. Invece di ricorrere ai medicamenti chimici e alla chirurgia, la ‘medicina vibrazionale’ cerca di curare i pazienti con la pura energia delle vibrazioni musicali”.

La “mappa” delle energie

Ma torniamo alla plurimillenaria saggezza dell’India: la filosofia indiana sa, per esempio, che ogni mantra (è il nome, in sanscrito, con cui si designa la formula capace, per il suono stesso delle parole, di effetti sulla psiche e il corpo), oltre alla sua vibrazione specifica, ha anche un colore (om è bianco, ram, la sillaba-seme del fuoco, è dorato e così via): sa che proprio tramite la sinergia suono-colore si può intervenire sulla materia. Il dato è addirittura codificato nella “mappa” dei chakra, i sette centri di energia vitale presenti in modo invisibile nel nostro corpo: a ognuno di essi corrisponde un colore e una sillaba sacra. Per risvegliare la forza spirituale dormiente nei chakra occorre visualizzare i colori corrispondenti e cantare con consapevolezza la sillaba sacra. Ne consegue l’aumento di energia e, nei casi patologici, il suo sblocco e fluire armonioso. Comunque, vedere i suoni e udire i colori non è una prerogativa di yogi e di sapienti. Una categoria di persone (circa dieci per ogni milione) possiede per natura questa facoltà chiamata “sinestesia” (fusione dei sensi): la sua radice sembra risiedere nella regione più profonda del cervello, il sistema limbico.

Vasilij Kandinskij ha intitolato una sua opera Il suono giallo. Uno dei suoi obiettivi, come abbiamo detto, era riconoscere in ogni cosa l’interiorità, l’essere. Tuttavia, si lamentava l’artista, “nella nostra epoca materialista, l’esteriorità ha preso il sopravvento. L’uomo non ama essere profondo, preferisce arrestarsi alla superficie che è meno faticosa”. Noi però adesso sappiamo: di fronte a una distesa di papaveri, di girasoli, a un cielo azzurro, cerchiamo di vivere la magia di un mondo che abbiamo depredato anche della sua interiorità. In una indagine condotta negli Stati Uniti, è stato chiesto a circa tremila persone: “Per che cosa vivete?”. Il 94 per cento ha risposto di stare semplicemente sopportando il presente nell’attesa dell’aldilà. Forse un fiore giallo, silenziosamente vibrante, potrebbe farci innamorare della vita.

Olga Ammann

Fonte: Microsoft ® Encarta ® Enciclopedia Premium. © 1993-2004 Microsoft Corporation. Tutti i diritti riservati.

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