Spiritualità

L’«inferno» di Dante è il forno di un alchimista

di Valerio Grutt

La Divina Commedia, la più grande opera letteraria della nostra storia, studiata spesso superficialmente a scuola, ascoltata negli anni dalla voce di attori, intellettuali, citata al cinema e in tv, tradotta in tutto il mondo, è un testo iniziatico.

E’ nota l’appartenenza di Dante all’ordine dei Fedeli d’Amore, gruppo iniziatico che individuava nella donna il simbolo dell’amore, che conduce ad una ricongiunzione con il Divino. Altre fonti ipotizzano l’appartenenza di Dante all’ordine dei Templari.

Al di là della veridicità di queste ipotesi, sono infiniti i riferimenti esoterici tra le pagine della Commedia, uno di quelli più espliciti è la ricorrenza del numero 3 (numero sacro nella simbologia massonica e nella tradizione esoterica perché simbolo dell’essere Supremo e della sintesi spirituale).

I canti sono scritti in terzine e ognuna delle tre cantiche è composta da 33 canti. Proprio Dante nel IX dell’Inferno manda un messaggio a chi è capace di comprendere, ci rivela chiaramente che esistono più strati interpretativi nell’approccio ai suoi versi:

“O voi che avete gli intelletti sani
mirate la dottrina che s’asconde
sotto il velame delli versi strani”

Il Poeta ci chiede di leggere sotto il velo una dottrina per pochi, per gli iniziati che hanno, appunto, gli intelletti sani.
È nostro compito alzare quel velo e cogliere il messaggio oscuro, seppur luminoso, che Dante vuole trasmetterci. A questo scopo, andiamo a rileggere il I canto dell’Inferno nel modo che ci è più congeniale.

“Nel mezzo del cammin di nostra vita,
mi ritrovai per una selva oscura,
chè la diritta via era smarrita”

Colui che mette in dubbio le proprie certezze, e alla quale giunge la consapevolezza di dover ricercare più a fondo, si ritrova appunto in una “selva oscura” smarrendo la propria via. Più avanti nello stesso canto, descrivendoci la selva il Poeta scrive:

“Tanto è amara che poco è più morte”

Dante paragona il suo perdersi alla morte, sente in questo modo l’avvicinarsi di una morte che lo porterà alla rinascita iniziatica.

“Ma poi ch’io fui, al piè d’un colle giunto”

Dante si ritrova al “piè d’un colle” spinto a guardare verso l’alto, simbolo del percorso iniziatico dalla quale giungerà l’aiuto:

“Guardai in alto e vidi le sue spalle
vestite già de’ raggi del pianeta,
che mena dritto altrui per ogni calle
allor fu la paura un poco queta”

Vedendo la luce che arriva da oriente, il Poeta ritrova un po’ di pace.
Poi come l’iniziato, nel suo percorso, si volge ad esaminare la propria vita, anche Dante scrive:

“E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago, alla riva
si volge all’acqua perigliosa e guata”

Dante Alighieri e sullo sfonde la montagna del Purgatorio

Osserva il percorso che lo ha condotto lì e dirigendosi quindi verso la salita, tre bestie gli chiudono la strada (una lonza, un leone e una lupa) le bestie rappresentano appunto la natura bestiale dell’uomo da trasmutare, in un cambiamento di coscienza, nelle forze che servono per affrontare il cammino. Ed è proprio davanti a questa difficoltà, al momento di affrontare le proprie paure, che Dante incontra il Maestro e lo riconosce:

“Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi, di parlar, sì largo fiume?”

e poi ancora:

“Tu se’ lo mio maestro e il mio autore:
tu se’ solo colui, da cui tolsi
lo bello stile, che m’ha fatto onore”

Dante riconosce il proprio Maestro, ed in questo caso è come riconoscere la parte più profonda della propria coscienza, la sua guida. La parte di se stesso che gli ha fatto onore, che gli ha permesso di spingersi oltre la “volgare schiera”. Come negli antichi misteri, una guida accompagna sempre il candidato, così Dante è accompagnato da Virgilio.

Dante e Virgilio (Incisione del Dorè)

Il Maestro, vedendo il timore dipinto sul viso dell’apprendista, gli chiede:

“Ma tu, perché ritorni a tanta noia?
Perché non sali il dilettoso monte,
ch’è principio e cagion di tutta gioia?”

Gli chiede perché ha intenzione di fuggire, di tornare alla vita profana solo per timore di affrontare se stesso, le sue paure, invece di intraprendere la strada che lo condurrà alla verità. Dante terrorizzato, davanti ai proprio limiti, si decide a chiedergli aiuto, decide dunque di attingere alla fonte del suo coraggio per affrontare il cammino:

“Vedi la bestia, per cui io mi volsi
aiutami da lei famoso saggio,
ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi”.

Virgilio gli chiarisce che la bestia:

“non lascia altrui passar per la sua via
ma tanto lo impedisce che l’uccide”

e poi:

“Questi non ciberà terra, ne’ peltro,
ma sapienza, amore e virtute”

La bestia non prenderà la sua carne ma la sua forza, la sua sapienza e le sue virtù.

La bestialità umana, dunque, non lo farà perire nel corpo ma nell’anima.
Per superare la bestia dovrà seguirlo dove:

“udirai le disperate strida
vedrai gli antichi spiriti dolenti,
che la seconda morte ciascun grida”

Dovrà seguirlo negli inferi, in un viaggio verso il basso. Per ritrovare se stesso dovrà dunque affrontare il VITRIOL (Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem).

Ma dopo avere affrontato quella zona profonda rettificando se stesso e avendo trovato la Pietra Occulta potrà salire “alle beate genti”, cioè rinascere a nuova consapevolezza.

Da lì vedremo, nei successivi canti, il susseguirsi dei personaggi che popolano l’inferno, ognuno di loro con un diverso vizio e in questo modo Dante viaggia attraverso le oscure pieghe dell’animo umano, del proprio animo, quelle pieghe dalle quali l’uomo si deve liberare perché gli impediscono di crescere nel cammino spirituale e giungere alla Conoscenza.

La buca dell’Inferno, Athanor alchemico

Così come l’iniziato deve, in silenzio, osservare il suo cammino facendo attenzione ad ogni moto dell’anima, traendone i messaggi giusti per ritrovare le proprie potenzialità inespresse, così Dante incontra tutti i suoi vizi e giunge alle sue conclusioni.

Il Poeta continuerà il suo cammino in una serie infinita di prese di coscienza che andranno a disgregare la sua apparente compattezza, nel calore dell’inferno che potremmo vedere come l’Athanor dell’alchimista.

L’inferno è il forno, Dante è la Pietra Grezza.

Nelle profondità del suo abisso, c’è Lucifero ad attenderlo.

Lucifero è l’energia del suo ego, la forza dell’Eros, che deve essere affrontato per scardinare la sua illusoria personalità e giungere alla consapevolezza del suo vero essere.

Attraverserà dunque l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso, fino a ritrovare nel volto di Dio quello di se stesso.

Giungendo al senso della frase incisa sulla porta dell’oracolo di Delfi: “Conosci te stesso e conoscerai Dio e l’Universo”.

di Valerio Grutt


Fonte: www.kuthumadierks.com

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