Spiritualità

L’anima delle Tradizioni

 

“Fin dai tempi più antichi, il filo d’oro è il simbolo di un sapere che nasce dall’esperienza personale e che è libero dai condizionamenti istituzionali.

È un filo perché rappresenta la continuità di un’esperienza sempre antica e sempre nuova ed è esile perché in ogni generazione questa consapevolezza viene mantenuta da una minoranza di individui.

Questo filo è d’oro perché è immortale: resta sempre, anche nei periodi più caotici e oscuri; a volte più apparente, a volte più nascosto.”

Werner Weick

Le parole riportate qui sopra sono l’introduzione di apertura ad una serie di documentari che prendono proprio il nome di “filo d’oro”, e che trattano appunto dei diversi saperi tra Oriente ed Occidente.

Tale descrizione è a nostro avviso una sintesi molto evocativa dell’esistenza di un’anima vivificante alla base di tutte le tradizioni, una sorta di sistema teorico-pratico trasmesso oralmente e con lo scopo di rendere pratiche, attive e coerenti le diverse discipline. In altre parole, un metodo costituito da determinati principi e linee guida rintracciabili in qualsiasi epoca e in qualsiasi cultura iniziatica.

L’obiettivo di tale metodo è quello di accompagnare l’essere umano in un percorso di conoscenza interiore, fornendogli degli strumenti particolari in grado di renderlo più cosciente di se stesso, dei propri meccanismi e delle proprie debolezze che limitano le nostre reali potenzialità.

Tutte le religioni descrivono infatti le caratteristiche dell’essere umano ideale, impeccabile, realizzato. Basta aprire un qualsiasi testo sacro per leggervi le caratteristiche indiscutibili: stabilità interiore, compassione, forza d’animo, amore incondizionato verso il prossimo, fede, libertà dalle paure e dalle morali. E che tutte queste virtù sono le sole in grado di donare la vera felicità.

Il problema sorge proprio a questo punto. È plausibile ipotizzare che la maggior parte delle persone presenti sulla terra si siano imbattute – almeno una volta nel corso della loro vita – in tali concetti. Eppure, molto raramente queste argomentazioni sono sufficienti a risvegliare un cambiamento dentro di noi. Infatti, non vi sono molte prove a sostegno che il mondo stia migliorando!

Possono forse colpirci fino a tal punto da spronarci a lottare per assomigliare a queste figure realizzate, ma regolarmente si rivelano goffi tentativi che portano difficilmente reali miglioramenti nella nostra vita. Proviamo dunque a cogliere ulteriori spunti di riflessione dalle parole di un genio della nostra epoca, uno dei rari scienziati che ha lottato tutta la vita per restituire dignità e libertà all’essere umano, con un linguaggio che si discosta apparentemente dalle consuete terminologie tradizionali, ma che confluisce armonicamente in un’analoga concezione dell’essere umano. Stiamo parlando di Wilhelm Reich:

“Nello strato superficiale del proprio essere l’uomo medio è moderato, cortese, caritatevole, conscio del proprio dovere, coscienzioso. Non esisterebbe una tragedia sociale dell’animale uomo se questo strato superficiale fosse direttamente collegato con il nucleo naturale. Purtroppo non è così: lo strato superficiale della co-operazione sociale non ha alcun contatto con il profondo nucleo biologico dell’uomo; esso viene sorretto da un secondo strato caratteriale intermedio, che si compone senza eccezioni di impulsi crudeli, sadici, sessualmente lascivi, rapaci e invidiosi. (…)

Se ci addentriamo oltre questo secondo strato di pervertimento fino al fondamento dell’animale uomo, scopriamo regolarmente il terzo e più profondo strato che chiamiamo “nucleo biologico”. In fondo, in questo nucleo l’uomo è, in circostanze sociali favorevoli, un animale onesto, co-operativo, capace di amare o, se vi è un motivo, di odiare razionalmente. Ora, in nessun caso è possibile penetrare fino a questo profondissimo e tanto promettente strato la liberazione caratteriale dell’uomo attuale senza aver prima eliminato la falsa superficie apparentemente sociale. Quando cade la maschera dell’educazione, non appare immediatamente la socialità naturale, ma soltanto lo strato caratteriale sadico-pervertito.”

Possiamo ora convenire che sappiamo come “dovremmo essere”, ma ogni nostro sforzo non porta che a ritornare al punto di partenza o, nella peggiore delle ipotesi, a peggiorare la condizione. Dunque occorre spostare la domanda da cosa bisogna essere a cosa si è in realtà.

Come fare per risolvere questo mistero di se stessi? Occorre innanzitutto osservarsi, con totale onestà, senza giudizi e senza giustificazioni. Apparentemente può apparire una strada semplice, e in effetti lo è, ma non cadiamo nell’errore di confondere il semplice con il facile. In questa avventura si insinuano infatti una moltitudine di ostacoli.

La funzione del metodo tradizionale è quella di accompagnare gradualmente la persona in questo percorso, fornendo innanzitutto i mezzi per riconoscere i lati luminosi e i lati oscuri di sé, coltivando i primi ed eliminando i secondi; permettendogli di sviluppare un vero e proprio organo interiore che possiamo denominare convenzionalmente Testimone Interiore.

È qui che assume importanza la funzione di un maestro, ossia di una persona che abbia già raggiunto una chiara visione di sé, che possa assumere il compito di guidare l’allievo verso una riscoperta interiore. Ma un saggio non può fare altro che indicare il cammino e spronare in tale direzione, ma il vero lavoro sarà sempre strettamente personale, e nessuno potrà farlo al nostro posto.

Le nostre paure e insicurezze ci portano invece in molte occasioni a ricercare persone o scuole in cui rifugiarci, delegando ad essi la nostra evoluzione, accontentandoci di sentirci in un luogo protetto e in cui sentirci membri di una elite di persone speciali per il solo fatto di appartenere ad un gruppo che vanta di essere depositario di messaggi divini. Ecco che viene in soccorso il Buddha con il suo ammonimento:

“Non c’è alcuna via nel cielo, la via è dentro di te. Gli uomini cercano la felicità nei propri attaccamenti. Il Tathagata, colui che cammina nel semplice essere-così , è libero da ogni attaccamento.”

Per una legge di vita infatti, laddove uno sforzo e una ricerca personale non saranno compiuti, presto o tardi si scivolerà in un abisso di disillusione. E più alta sarà stata la vetta su ci si è posti, più dolorosa sarà la caduta.

Tale è il motivo per cui Jiddu Krishnamurti soleva ripetere che il percorso è unico ed irripetibile per ciascuno di noi, e che per poterlo compiere è sufficiente ma necessario osservare se stessi con perseveranza, pazienza e la gentilezza, cercando di risalire sempre verso l’origine di ogni pensiero, emozione, paura, attaccamento, ecc.

Il 2 agosto del 1929, un giorno memorabile nella sua storia di vita, dichiarò davanti a circa 3000 teosofi di non essere il messia da loro tanto atteso:

“Sono diciotto anni che vi state preparando alla venuta del maestro del mondo. Non mi importa che crediate o no che io sia il maestro del mondo. Per me non ha alcun valore, perché avete semplicemente messo un nuovo culto al posto di quello vecchio.

Fate dipendere la vostra illuminazione da qualcun altro. Quando dico che tutto ciò è inutile e che dovete cercare dentro di voi, non mi credete. La verità è una terra senza sentieri e non la si può raggiungere attraverso nessuna via, nessuna religione, nessuna scuola.

Poiché la verità è illimitata, incondizionata. Nessuna organizzazione può essere creata per condurre o costringere gli altri lungo un particolare sentiero. È impossibile organizzare una fede. La fede è qualcosa di assolutamente individuale, non possiamo istituzionalizzarla; se lo facciamo diventa una cosa morta.”

Reputiamo inoltre che la forza di tale messaggio possa essere facilmente fraintendibile con un rifiuto a-priori di ogni tipo di scuola spirituale. Se è pur vero che vi siano attualmente moltissime offerte di questo tipo di dubbia sincerità e intento, è anche vero che ve ne sono molte altre composte da persone eccezionali e altamente motivate. La nostra personale esperienza non può che testimoniare a favore di alcune scuole di quest’ultimo tipo. In entrambi i casi tuttavia, la pietra angolare non potrà che rivelarsi la propria buona volontà, e la disillusione di un avanzamento interiore che possa essere delegato ad altri.

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Werner Weick, Il filo d’oro (ciclo di documentari televisivi).

Wilhelm Reich, Psicologia di massa del fascismo , Einaudi, Torino, 1999.

Jiddu Krishnamurti, Come siamo , Ubaldini, Roma, 2008.

Buddha, Dhammapada, su http://www.guruji.it/dhammapada.htm.

 

Fonte: associazioneperankh

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